Deve essere assoggettato a IVA l’incasso da parte del professionista dell’onorario dopo la chiusura della partita IVA a seguito della cessazione dell’attività professionale? E se, nel frattempo, il professionista è deceduto, quali sono gli adempimenti a carico degli eredi per i crediti professionali da incassare?
Secondo l’Agenzia delle Entrate, la cessazione dell’attività professionale per il professionista non corrisponde al momento in cui egli chiude la partita IVA e smette di porre in essere le prestazioni professionali, ma a quello successivo con cui, di fatto, chiude i rapporti professionali, fatturando le prestazioni svolte.
Il professionista, infatti, durante la sua attività professionale ha normalmente detratto l’IVA sugli acquisti inerenti il rapporto ancora pendente; allo stesso modo, in linea con il principio di neutralità fiscale, vanno assoggettati a IVA i compensi professionali percepiti (anche se avvenuti dopo la cessazione dell’attività).
Per il fisco, quindi, a meno che il professionista non intenda anticipare la fatturazione degli onorari prima dell’effettivo incasso, è necessario attendere che si realizzi la riscossione dei propri crediti professionali, posto che la loro esazione sia ritenuta ancora possibile perché non è decorso il termine di prescrizione dettato dall’articolo 2956 del codice civile (prescrizione triennale per i compensi dell’opera prestata e per il rimborso delle spese dei professionisti).
Sul punto, si sono anche espresse le sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016, hanno stabilito che il compenso percepito per le prestazioni professionali svolte nell’esercizio di arti e professioni è imponibile ai fini IVA anche se l’onorario è incassato dopo la cessazione dell’attività da parte del professionista. Inoltre, la Suprema Corte ha rilevato che l’interpretazione delle norme nazionali non risulterebbe in linea con le direttive comunitarie.
L’articolo 6 del D.P.R. 633/72 (decreto IVA) prevede che nelle prestazioni di servizi, come nelle prestazioni professionali, l’imposta è dovuta solo al momento dell’incasso (principio ribadito tra l’altro anche dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 13209 del 2009 e n. 3976 del 2009).
In relazione all’imponibilità IVA, la VI direttiva IVA (77/388/CEE) e la direttiva 2006/112/CE distinguono invece tre diversi momenti: il fatto che ha generato l’obbligazione tributaria, l’esigibilità dell’imposta ed il pagamento del tributo all’erario. Le due direttive UE vincolano l’imponibilità IVA non al pagamento dell’onorario, ma al materiale espletamento della prestazione professionale e, con riguardo all’evento che genera l’obbligo, prevedono che questo nasce nel momento di effettuazione della prestazione professionale.
Secondo la Cassazione, con la sentenza n. 8059/2016, la norma italiana deve essere interpretata nel senso che per le prestazioni di servizio, il presupposto impositivo si verifica con l’esecuzione della prestazione professionale. L’incasso del corrispettivo, dunque, rappresenterebbe il limite ultimo oltre il quale non si può andare per la fatturazione del compenso.
Anche se il professionista consegue l’incasso dopo la materiale cessazione della sua attività professionale, si ha l’insorgenza dell’imponibilità ai fini IVA degli onorari e le somme riscosse devono essere assoggettate a imposta.
Inoltre, nell’ipotesi, neanche tanto rara visti i tempi, in cui il libero professionista passi a miglior vita prima dell’incasso dell’onorario, agli eredi spetta l’incombenza della chiusura della partita IVA del professionista defunto solo dopo che avviene l’incasso dell’ultima parcella (articolo 35, comma 1 del D.P.R. n. 633/1972) e dopo aver pagato la relativa IVA dovuta.
Se invece gli eredi vogliono chiudere la posizione fiscale del professionista defunto prima dell’effettivo incasso dei crediti professionali, hanno l’obbligo di fatturare gli onorari non incassati, versare l’IVA e procedere quindi alla chiusura della partita IVA.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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