La recente Legge n. 4 del 11/02/2018 introduce nel nostro ordinamento un nuovo istituto giuridico previsto dal neonato art. 463 bis del Codice civile, rubricato “sospensione della successione”. Chiariamo di che cosa si tratta e quali effetti produce.
Questa novità sembra accompagnarsi alla tradizionale causa di incapacità a succedere denominata “indegnità”, disciplinata dall’art. 463 c.c. e con la quale il legislatore, per ragioni di equità e moralità, esclude dal fenomeno successorio il soggetto che si sia macchiato di una condotta tipica e fortemente antigiuridica, spesso con ricadute anche in ambito penale.
Sulla natura di tale fattispecie, dottrina e giurisprudenza non hanno mai smesso di interrogarsi, anche se la teoria che sembra maggioritaria e condivisibile ritiene che si tratti di una vera e propria causa di esclusione ex post dalla successione che opera retroattivamente solo in presenza di una sentenza di natura costitutiva, con la quale “si crea la situazione giuridica”.
Il nuovo istituto della “sospensione” sembra affiancare ideologicamente l’indegnità a succedere, ma allo stesso tempo se ne discosta fortemente per quanto concerne la ratio e la natura.
Sulla scia del triste fenomeno del cd. femminicidio, particolarmente sentito dalle forze politiche e sociali, il legislatore reagisce con quella che appare una sanzione civilistica di matrice pubblica, in quanto sembra porre una sorta di presunzione ex lege di temporanea indegnità a succedere nei confronti del coniuge, anche se legalmente separato, indagato (quindi non condannato) “per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o dell’altra parte dell’unione civile, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento”. Tale presunzione viene estesa anche all’ipotesi di omicidio volontario o tentato nei confronti di uno o entrambi i genitori, del fratello o della sorella e, in ogni caso, fa sorgere l’obbligo di nominare un curatore dell’eredità giacente.
Pertanto, sembra corretto qualificare la fattispecie come una sorta di “congelamento” della capacità di succedere, la quale si trasformerà in vera e propria incapacità solo nell’ipotesi di sentenza di condanna o di patteggiamento; quasi un “anticipo” dell’indegnità in ipotesi tipiche ed eccezionali e delle quali il PM incaricato delle indagini preliminari, compatibilmente con le ragioni di segretezza delle stesse, dovrà dare avviso alla cancelleria del Tribunale in cui si è aperta la successione.
In realtà è un vero e proprio “terremoto” che nei fatti permette di poter qualificare la sentenza di condanna o di patteggiamento non come costitutiva, ma come dichiarativa di effetti civili che si sono già prodotti ope legis. Sentenza penale che, tra l’altro, sembra derogare allo storico principio di autonomia e della separazione dei giudizi ex art. 651 c.p.p..
Obiettivamente la norma riveste una notevole importanza per tutto l’ambito successorio ed in particolare per la dichiarazione di successione. Infatti, stando al dato letterale, sembra che il soggetto colpito da “sospensione” non possa acquistare la capacità di succedere e, pertanto, non possa essere considerato né erede né chiamato all’eredità, con conseguente esclusione dello stesso dall’albero genealogico della dichiarazione stessa. Quindi, nell’ipotesi di assoluzione (o eventualmente di una successiva sentenza riabilitativa) sembra corretto sostenere la necessità di una ulteriore dichiarazione sostitutiva che vada a ridisegnare l’albero genealogico, le quote ereditarie e le imposte.
Si aspettano quindi gli sviluppi dottrinali e giurisprudenziali su una materia in continua evoluzione e che non smette mai di riservare sorprese e colpi di scena.
Roberto De Bellis – Centro Studi CGN