Con Sentenza del 9 aprile 2018, n. 15786, la terza Sezione della Cassazione penale torna a pronunciarsi sul tema della responsabilità dell’omissione contributiva nelle imprese, affermando come il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali non possa essere imputato al socio che non partecipa alla gestione dell’impresa, riconoscendosi tale dovere in capo al legale rappresentante della società.
Nel caso, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal legale rappresentante di una società – in ispecie società a nome collettivo – avverso la precedente Sentenza della Corte d’appello di Milano che, in conferma di quanto statuito in primo grado, condannava lo stesso per il reato di cui all’articolo 10 del D.Lgs. n. 74/2000, per non aver versato, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.
Nel dettaglio, con la prima doglianza il ricorrente adduce che, pur non essendo normativamente prevista in modo espresso, va inclusa tra le cause di esclusione della colpevolezza, anche al fine di rispettare il principio di personalità del diritto penale ex art. 27 Cost., nonché di assicurare la funzione rieducativa della pena, la non rimproverabilità del fatto all’imputato intesa quale inesigibilità di una condotta diversa, in relazione alle circostanze specifiche della vicenda.
La Corte, tuttavia, rigettando tale motivo, specifica che, secondo costante giurisprudenza, per la configurazione del reato in questione risulta sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo relativo, ritenendosi che ogniqualvolta il sostituto d’imposta effettui le erogazioni degli emolumenti ai dipendenti, deriva a carico dello stesso l’obbligo di accantonare le somme dovute organizzando le risorse disponibili in modo da potere adempiere all’obbligazione tributaria.
Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, infatti, è a dolo generico, e risulta pertanto integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività d’impresa.
Diversamente, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, viene rinviata la decisione ad altra sezione della Corte di appello per una nuova valutazione circa il trattamento sanzionatorio, in ragione del fatto che la pena per il suddetto reato va quantificata nella misura minima, in considerazione dell’età avanzata del condannato e della creazione negli anni di numerosi posti di lavoro grazie all’attività imprenditoriale svolta dalla società.
La pronuncia qui all’esame, dunque, evidenzia come l’obbligo di versare i contributi sia posto in capo al datore di lavoro, ma, nelle imprese collettive, spetti al soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità della stessa o della singola unità produttiva, non assumendo effetto scriminante la circostanza che la designazione sia fittizia.
Ne deriva che, come affermato da costante giurisprudenza (cfr. Corte di cassazione, sezione III penale, sentenza 21 maggio 2013 n. 21695 e Corte di cassazione, sezione III penale, sentenza 7 luglio 2005 n. 24938), nelle società in accomandita semplice tale potere spetta al socio accomandatario al quale è stata conferita l’amministrazione della società e, quindi, la rappresentanza nei rapporti con i terzi.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato