Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha ritenuto utile pubblicare un vademecum sulle regole vigenti in materia l’utilizzo di assegni oltre i 1.000 euro privi della clausola di non trasferibilità, a seguito di segnalazioni che hanno rivelato che tali assegni continuano a essere utilizzati, benché la normativa antiriciclaggio ne abbia sanzionato l’uso.
Un assegno trasferibile ovvero privo dell’indicazione del beneficiario è – ricorda il Mef – un titolo che, nella sostanza, è assimilabile ad un titolo al portatore ossia pagabile a vista a colui che lo esibisce per l’incasso. Ciò lo rende sostanzialmente equiparabile al contante e quindi sottoposto a limitazioni con finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio. Al contrario l’apposizione del nome del beneficiario e l’utilizzo della clausola di «non trasferibilità» assicurano la piena tracciabilità della transazione.
La normativa antiriciclaggio – come ricorda sempre il Mef – impone alle banche e a Poste Italiane il rilascio di carnet di assegni (bancari o postali) muniti della clausola di non trasferibilità. È possibile richiedere, per iscritto, alla banca o a Poste Italiane, il rilascio di moduli di assegni in “forma libera”, ossia privi della suddetta clausola di non trasferibilità.
L’assegno in forma libera può essere emesso, regolarmente compilato mediante l’apposizione del nome del beneficiario, soltanto per importi inferiori a 1.000 euro. Qualora, ancora oggi, si posseggano libretti di assegni rilasciati da banche e Poste Italiane prima del 2008 in “forma libera”, e quindi non recanti la stampa della clausola di non trasferibilità, è possibile:
- utilizzare i moduli di assegni del libretto esclusivamente per importi inferiori a 1.000 euro, apponendovi il nominativo del beneficiario;
- utilizzare i moduli di assegni del libretto per importi pari o superiori a 1.000 euro unicamente previa apposizione, da parte del traente, all’atto di emissione dell’assegno, della dicitura “non trasferibile” e del nominativo del beneficiario.
È importante verificare sempre che gli assegni di importo pari o superiore a 1.000 euro rechino la clausola di non trasferibilità anche qualora, in qualità di beneficiario, si riceva un assegno bancario o postale.
Dal 4 luglio 2017 per gli assegni di importo pari o superiore a 1.000 euro vige una sanzione da 3.000 a 50.000 euro con conseguenze anche sull’istituto dell’oblazione, ovvero della somma che è possibile volontariamente pagare per concludere anticipatamente il procedimento senza arrivare alla sanzione, purché entro 60 giorni dalla data di contestazione e per titoli di importo non superiore 250.000 euro. In particolare l’oblazione – che per legge è sempre pari alla terza parte del massimo della sanzione previsto ovvero, se più favorevole, al doppio del minimo – nel caso specifico degli assegni irregolari è sempre pari a 6.000 euro. Ciò indipendentemente dall’importo dell’assegno contestato e anche per importi minimi, magari di poco superiori alla soglia consentita dei 1.000 euro.
Il pagamento dell’oblazione è solo una delle opzioni possibili. Ricevuta la contestazione, il soggetto incolpato può decidere di:
- pagare l’oblazione;
- attendere la conclusione del procedimento sanzionatorio, nel corso del quale potrà fornire le proprie osservazioni con la possibilità anche di ottenere, laddove ne ricorrano gli estremi, un provvedimento di proscioglimento totale ovvero l’irrogazione di una sanzione più bassa dell’oblazione.
Inoltre, nel caso in cui al termine del procedimento venga irrogata una sanzione, la nuova disciplina prevede la possibilità, per l’interessato, di chiedere la riduzione di un terzo: la sanzione minima concretamente applicabile, dunque, è pari a 2.000 euro.
L’Ufficio a cui rivolgersi per le pratiche in corso è l’ufficio della Ragioneria Territoriale dello Stato che ha notificato all’incolpato l’atto di contestazione degli addebiti.
Fabrizio Tortelotti