In questi giorni, commercialisti e consulenti fiscali sono alle prese con la compilazione delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti titolari di partita IVA. Alcuni di questi contribuenti però, a causa della crisi economica, chiudono da qualche anno i loro bilanci in perdita. Quali sono le possibili conseguenze nel tempo?
Quello dei bilanci in perdita, negli ultimi anni, è un caso che ricorre piuttosto di frequente, sia tra le piccole e medie imprese, che rappresentano un’ampia fetta del totale delle imprese italiane e che continuano ad essere il fulcro del tessuto imprenditoriale italiano, sia tra l’affollata platea di piccoli artigiani e commercianti.
A causa dell’attuale crisi economica e finanziaria che continua a produrre i suoi effetti negativi su tutto il tessuto economico del nostro paese, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari, ai fini delle imposte sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite d’esercizio e ampie divergenze tra costi sostenuti e ricavi conseguiti, è tutt’altro che rara.
Sul tema si è espressa anche la Corte di Cassazione, precisando che tale situazione costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte del fisco una rettifica della dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’articolo 39 del D.P.R. N. 600/73, a meno che il contribuente non dimostri con concretezza l’effettiva sussistenza delle perdite dichiarate (sentenza n. 21536 del 15 ottobre 2007).
Anche la sentenza n. 12167 del 30 maggio 2014 della Cassazione considera corretto un accertamento induttivo per elusione fiscale, basato sulla dichiarazione dei redditi di un’azienda, dalla quale emerge un risultato d’esercizio modesto, rispetto ai costi sostenuti dall’azienda. Nel caso trattato, gli Ermellini avevano considerato legittimo l’accertamento analitico-induttivo a carico dell’azienda che aveva presentato bilanci negativi sostenendo altissimi costi di personale dipendente.
In particolare, mediante l’accertamento analitico-induttivo nei confronti dell’azienda ricorrente, l’Agenzia delle Entrate provvedeva a rettificare i redditi dichiarati dalla società (una srl), procedendo con la rideterminazione dei ricavi, basandosi proprio sull’anomala situazione protratta per più annualità.
A nulla era valsa la regolare tenuta della contabilità societaria dal momento che l’irragionevolezza economica del comportamento del contribuente che afferma per più anni di essere in perdita o di avere sostenuto costi sproporzionati ai ricavi, per il fisco rappresenta un elemento sintomatico di possibili violazioni all’obbligo di una corretta dichiarazione dei redditi.
Con l’ordinanza n. 26078 del 16 dicembre 2016 invece, la Corte di Cassazione enuncia un importante principio: di fronte ad una richiesta di documentazione con invito o questionario, se il contribuente non risponde, l’Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento induttivo sulla base di dati e notizie raccolti, come l’esistenza di costi sproporzionati rispetto al reddito dichiarato.
In tale caso, secondo la suprema Corte, il recupero delle imposte (IVA e imposte sui redditi) è dipeso dalla mancata dimostrazione dei costi contestati dall’Ufficio al contribuente come esorbitanti, ai sensi dell’articolo 39, comma 2 lettera d-bis, che legittima l’uso della metodologia induttiva nel caso di omessa risposta a un questionario o a un invito a fornire chiarimenti o documenti.
Sull’argomento costi e oneri deducibili che concorrono alla determinazione del reddito d’impresa, compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, si è espressa ancora la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20303 depositata il 23 agosto 2017.
Secondo quest’ultima ordinanza, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi e degli oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa incombe al contribuente. È potere dell’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni dei redditi, con negazione della deducibilità di parte di un costo che risulti sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN