La conversione in legge del Decreto Dignità introduce specifiche restrizioni in caso di rinnovo del contratto a termine, con conseguente innalzamento in percentuale del relativo contributo addizionale, e la riduzione del numero delle proroghe riferite allo stesso. Ecco un riepilogo delle novità.
Modificando, dunque, le disposizioni sui contratti a termine (articoli 19, 21 e 28 del D.Lgs. 15 giugno 2015), l’articolo 1 del cosiddetto Decreto Dignità (Legge 12 luglio 2018, n. 87) statuisce che, fatta salva:
- la possibilità di libera stipulazione tra le parti del primo contratto a tempo determinato;
- di durata comunque non superiore a 12 mesi di lavoro in assenza di specifiche necessità;
l’eventuale rinnovo dello stesso sarà possibile esclusivamente a fronte di particolari esigenze, avendo cura, in ogni caso, di non eccedere la durata massima di 24 mesi, computando tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato intercorsi tra stesso datore e lavoratore, per le medesime mansioni.
Occorre chiarire, tuttavia, che in tali ipotesi il datore di lavoro sarà sempre tenuto al rispetto del periodo di “stop & go” tra la fine del primo contratto e l’inizio del secondo per un tempo pari a:
- 10 giorni per contratti inferiori a 6 mesi;
- 20 giorni per contratti superiori a 6 mesi.
Ne deriva che, in base alla nuova normativa sui contratti a termine, il contratto potrà essere rinnovato solo ed esclusivamente a fronte di esigenze:
- temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;
- connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria;
che dovranno essere specificatamente indicate nell’atto scritto da consegnare al dipendente all’atto della nuova assunzione.
Diversamente, per i contratti a tempo determinato per attività stagionali non sarà necessaria l’indicazione di alcuna causale sia in caso di rinnovo che di proroga.
Così come accade per il nuovo regime applicabile alle proroghe, tuttavia, anche in tal caso è stato introdotto un periodo transitorio quanto alla ricezione delle disposizioni sui contratti a termine, che ne dispone l’applicazione esclusivamente ai contratti di lavoro stipulati successivamente alla data di entrata di entrata in vigore del suddetto decreto (14 luglio 2018), nonché ai rinnovi successivi al 31 ottobre 2018.
Tale regime, infatti, implica un’attenta valutazione del momento di stipula del rinnovo stesso al fine di verificare quale sia la durata complessiva massima applicabile alle varie situazioni, ossia:
(*) in via prudenziale, e in attesa di chiarimenti, sono indicate massimo 4 proroghe in 24 mesi ma la norma parrebbe consentirne 5 in 3 mesi (regime previgente al D.L. n. 87/2018), per il solo periodo tra la data di entrata in vigore della legge di conversione (12.08.2018) e il 31.10.2018. Altre interpretazioni sembrano indicare che la moratoria della L. n. 96/2018 retroagisce al 14.07.2018 (fino al 31.10.2018), sostituendosi ai vincoli posti dal D.L. n. 87/2018.
In secondo luogo, al fine di indirizzare i datori di lavoro verso l’utilizzo di forme contrattuali stabili, in modifica dell’articolo 2, comma 28 della L. n. 92/2012, viene previsto:
- l’aumento dello 0,5% del contributo addizionale, per ogni rinnovo, attualmente pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali;
- a carico del datore di lavoro;
- per i rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato;
- in occasione di ogni rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione;
- ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico.
Ne deriva che, all’atto di ogni nuova assunzione di un dipendente con cui il datore di lavoro abbia già avuto in essere un precedente rapporto (c.d. rinnovo), e nel rispetto dei nuovi dettami normativi, si dovranno seguire le seguenti prescrizioni:
- rispetto dello stop & go;
- indicazione della causale ex art. 19, co. 1, D.lgs. n. 81/2015;
- applicazione dell’aumento del contributo addizionale pari allo 0,50% in aggiunta all’1,40% già previsto.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato