È possibile impugnare una cartella esattoriale pagata? Se un contribuente paga una cartella esattoriale, significa che riconosce la correttezza della cartella e quindi viene meno il suo interesse ad impugnare l’atto?
Prima di rispondere alle suddette due domande, è doveroso fare una breve premessa. La cartella esattoriale è un titolo esecutivo che, se non pagato, consente al concessionario della riscossione di agire contro il contribuente debitore con l’esecuzione forzata. Il contribuente che riceve una cartella esattoriale può impugnarla se ritiene la pretesa erariale infondata o accettarla (e pagare la cartella) se ritiene la pretesa erariale legittima.
L’impugnazione della cartella impedisce alla stessa di diventare esecutiva e di essere efficace nei confronti del contribuente. L’articolo 19, c.1, lettera d) del D.Lgs. 546/1992 prevede infatti che avverso il ruolo e la cartella esattoriale può essere proposto ricorso avanti alle Commissioni tributarie. Il contribuente, ricevuta la cartella esattoriale, deve comprendere quale tipo di iscrizione a ruolo la cartella contenga e valutare la possibilità di difesa.
L’acquiescenza invece è l’accettazione espressa o tacita di un effetto giuridico o di un provvedimento parziale. Nel caso della cartella esattoriale, l’acquiescenza si manifesta con il comportamento del contribuente che riconosce che la pretesa contenuta nella cartella esattoriale è corretta e che egli non intende impugnare l’atto davanti alla Commissione Tributaria.
Tuttavia, può verificarsi il caso che un contribuente effettui il pagamento della cartella al solo scopo di evitare l’esecuzione forzata da parte del concessionario della riscossione. Questo comportamento può impedire al contribuente di impugnare la cartella?
Il pagamento della cartella che sia stato effettuato allo scopo di evitare l’esecuzione forzata da parte del concessionario della riscossione non può essere considerato ammissione del debito e non può quindi precludere la difesa in giudizio da parte del contribuente. Egli ha infatti tutto il diritto di impugnare la cartella che non ritiene legittima e chiedere il rimborso di quanto indebitamente pagato.
Ad affermare questo importante principio è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3347 dell’8 febbraio 2017. Secondo i giudici chiamati a dirimere il caso, il contribuente può impugnare una cartella esattoriale di cui ha già effettuato il pagamento, se con il pagamento ha inteso evitare l’esecuzione forzata. Anche la richiesta di rateizzazione al concessionario della riscossione non costituisce acquiescenza e rinuncia al diritto di contestare in giudizio la pretesa erariale.
Per la giurisprudenza, un pagamento effettuato a fronte di un’imposta, all’atto della ricezione della cartella esattoriale, accompagnato dalla contestuale impugnazione della cartella medesima, non può definirsi “pagamento spontaneo”.
Affinché l’acquiescenza si verifichi, è necessario il concorso dei requisiti indispensabili per la configurazione di una rinuncia ad impugnare l’atto. In particolare, occorre che la rinuncia del contribuente sia manifestata con un comportamento inequivoco e che non lasci dubbi di sorta.
La mera richiesta della rateizzazione del debito e l’accettazione da parte del concessionario della rateizzazione stessa non costituisce di per sé acquiescenza e, per i giudici, il ricorso deve essere accolto.
Le stesse conclusioni si rilevano dalla lettura della sentenza n. 2231 del 31 gennaio 2018 della Cassazione che afferma che non è preclusa l’impugnazione di una cartella esattoriale quando il contribuente ha ottemperato al pagamento al solo fine di impedire o bloccare eventuali azioni esecutive a suo carico.
Inoltre, in caso di esito positivo del ricorso tributario, il contribuente può esercitare il diritto al rimborso ai danni del fisco, il quale ha riscosso in maniera indebita un credito, dichiarato successivamente inesistente da parte della Commissione Tributaria.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN