Il professionista che non invoca il segreto professionale non può opporsi al fatto che i dati del PC siano utilizzabili dagli organi dell’Amministrazione finanziaria anche senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. È questo in sintesi il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 6486/2019.
La vicenda
La Guardia di finanza, nel corso di un accesso presso l’abitazione di un odontoiatra utilizzato anche come studio professionale, aveva acquisito dati estratti dall’hard disk del computer rinvenuto all’interno dei locali, riguardanti radiografie effettuate in favore dei clienti. I dati di cui sopra erano poi stati utilizzati per ricostruire induttivamente il volume di affari del professionista.
Avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, il professionista presentava ricorso sul presupposto che gli atti erano stati acquisiti illegittimamente in quanto i militari della Guardia di finanza, pur avendo ottenuto l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria per l’accesso al domicilio del contribuente, non erano in possesso della specifica autorizzazione del procuratore della Repubblica che, al contrario, è richiesta in caso di opposizione del segreto professionale.
L’articolo 52, comma 1 del DPR 633/1972 dispone infatti che è “in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale”.
La conclusione della Cassazione
Dopo i vari gradi di giudizio innanzi alle Commissioni tributarie provinciali e regionali, la Corte di cassazione ha definitivamente respinto il ricorso del professionista con condanna al pagamento delle spese.
Dagli atti emerge che i militari della Guardia di finanza avevano effettuato il back-up dei dati conservati nell’hard disk del computer dello studio professionale con la collaborazione del personale presente all’interno dello studio. Pertanto, afferma la Cassazione, “è da escludere che detta operazione sia equiparabile ad apertura coattiva dei contenitori indicati nel comma 3 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, che necessita dell’autorizzazione ivi prescritta”.
A parere dei giudici della Suprema Corte, quindi, le ragioni del professionista sono infondate perché la specifica autorizzazione è necessaria soltanto nell’ipotesi in cui il professionista eccepisca effettivamente il segreto professionale, in mancanza del quale, è da ritenersi “legittima l’estrazione della copia dell’hard disk del computer del contribuente pur in assenza della specifica autorizzazione di cui al comma 3 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972”.
La Corte, peraltro, ha anche precisato che lo stesso principio deve anche applicarsi, ad esempio, quando l’accesso e le operazioni di verifica sono condotte in assenza del professionista ma alla presenza di un soggetto delegato del contribuente che però non ha opposto il segreto professionale.
In merito a quanto sopra descritto, infatti, la Suprema Corte precisa che “le garanzie difensive, anche in relazione al disposto dell’art. 12 della I. n. 212/2000, non richiedono la necessaria presenza della parte e che, in ogni caso, anche quando il contribuente, in occasione della notifica del processo verbale di constatazione assume di avere avuto conoscenza di detta acquisizione, alcuna contestazione fu in quella sede sollevata”.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN