Si può rinunciare all’usufrutto? Se sì, quali sono le modalità operative? In che modo, la rinuncia deve essere formalizzata? E qual è la rilevanza, ai fini fiscali, della rinuncia all’usufrutto da parte dell’usufruttuario?
Per rispondere alle suddette domande dobbiamo avere chiaro cosa è l’usufrutto. Si tratta di un diritto reale che riguarda una cosa (un bene). Il diritto reale per eccellenza è la proprietà. L’usufrutto è un diritto reale di godimento di un bene altrui (mobile o immobile), con il rispetto della sua destinazione economica e delle limitazioni imposte dalla legge.
L’usufruttuario può godere del bene come se ne fosse il proprietario, avendo cura di non alterarne la destinazione economica, non venderlo, distruggerlo o alterarne la natura. Può anche godere di ogni utilità derivante dallo stesso, ragion per cui, in caso di usufrutto di bene immobile, ad esempio, egli può locare l’immobile e goderne i frutti (canoni di locazione).
Il diritto di usufrutto, come la maggior parte dei diritti reali di godimento, è un diritto disponibile; pertanto, il titolare del diritto di usufrutto può trasferire tale diritto ad altri soggetti oppure può rinunciare al diritto stesso.
L’usufruttuario può benissimo cedere il suo diritto di usufrutto (con la vendita o la donazione) e può anche costituire un’ipoteca sull’usufrutto stesso ma deve utilizzare il bene come se fosse il proprietario e con la diligenza del buon padre di famiglia.
Quanto dura il diritto di usufrutto?
L’usufrutto non può eccedere la durata della vita del suo titolare, se persona fisica. Ciò vuol dire che, in caso di morte dell’usufruttuario, l’usufrutto cessa definitivamente e non passa ai suoi eredi. Nel caso di persone giuridiche invece (società ad esempio), il diritto di usufrutto non può durare più di trent’anni. In buona sostanza, non esiste l’usufrutto perpetuo!
Si può rinunciare all’usufrutto?
La risposta è positiva. L’usufruttuario ha la facoltà di rinunciare al proprio diritto per qualunque ragione (anche di natura economica). Il titolare di un diritto di usufrutto non è obbligato a mantenere l’usufrutto fino alla sua scadenza e può rinunciare in qualsiasi momento all’usufrutto. Con l’estinzione del diritto d’usufrutto, viene ristabilita la piena titolarità del diritto di proprietà in capo al nudo proprietario, che tornerà a tutti gli effetti ad essere proprietario del bene.
La rinuncia all’usufrutto deve essere totale e non si può mantenere l’usufrutto solo su una parte del bene. Il primo effetto della rinuncia del diritto di usufrutto è quello di ristabilire il diritto di piena proprietà ed esclusiva in capo al nudo proprietario.
In che modo si può rinunciare all’usufrutto?
Tutti i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili e i relativi atti di rinuncia devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di nullità. Nella pratica, il diritto di usufrutto su beni immobili viene costituito sempre dal notaio perché per la trascrizione nei registri immobiliari occorre l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata da pubblico ufficiale.
Una rinuncia non trascritta è valida tra le parti, ma inefficace nei confronti dei terzi (problema dell’opponibilità ai terzi), con la conseguenza che questi ultimi potrebbero validamente continuare a ritenere usufruttuario il rinunciante.
Dal punto di vista fiscale, secondo la recente ordinanza n. 2252 del 28 gennaio 2019 della Corte di Cassazione, l’atto di rinuncia al diritto di usufrutto ha effetti traslativi ed è tassato ai fini dell’imposta ipotecaria con aliquota proporzionale del 2%. La decisione dei giudici della Suprema Corte è in linea con l’orientamento della circolare 28/E del 2008 e la risoluzione 25 del 2007 dell’Agenzia delle Entrate.
La rinuncia a un diritto reale immobiliare deve essere considerata un trasferimento, dal momento che da essa deriva un arricchimento nella sfera giuridica altrui e, pertanto, sono dovute anche le imposte ipotecarie e catastali nella misura ordinaria.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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