È possibile per un professionista prestare una consulenza gratuita ad un parente o amico senza correre rischi? Esiste il rischio che l’Agenzia delle Entrate possa presumere un’evasione fiscale per la mancata fatturazione di una prestazione professionale da parte di un commercialista o di un avvocato?
La questione delle consulenze professionali gratuite rese da liberi professionisti, come avvocati, commercialisti, ingegneri o architetti, è stata più volte al centro dell’attenzione e spesso oggetto di decisioni giurisprudenziali, a volte di non facile interpretazione.
Per l’amministrazione finanziaria ad esempio, lo svolgimento di un’attività economica senza che sia percepito alcun compenso professionale è un comportamento irragionevole ed antieconomico.
A fronte di questo principio, l’amministrazione finanziaria chiamata a controllare il reddito di un libero professionista potrebbe optare per la ricostruzione di un maggior reddito professionale e alla ripresa a tassazione dei compensi professionali che si presumono percepiti da un professionista per la prestazione resa in un determinato periodo d’imposta a titolo oneroso.
Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 21972 del 28 ottobre 2015), invece, i commercialisti possono offrire servizi professionali gratuiti a parenti e amici senza il rischio che il fisco possa presumere compensi o redditi non dichiarati.
Nel caso esaminato dalla sentenza n. 21972/2015, la prestazione professionale resa gratuitamente dal professionista trovava la sua giustificazione in considerazione del fatto stesso che in alcuni casi il compenso di alcuni clienti e amici del professionista rientrava in quello già corrisposto a forfait dalla società già cliente del professionista e di cui le stesse persone ne costituivano la compagine sociale.
Ancora la Cassazione, con la sentenza n. 16966 del 17 agosto 2005, aveva affermato che l’onerosità costituisce un elemento normale del contratto d’opera, ma non è essenziale ai fini della sua validità. Questo consente che le parti possano escludere il diritto del professionista al compenso o anche subordinare il compenso al verificarsi di una determinata condizione.
Anche il Codice Civile, agli articoli 2229 e seguenti, regola il compenso professionale non escludendo in alcun modo la legittimità di accordi di prestazione gratuita e nemmeno determinando una presunzione di onerosità.
Il contratto d’opera professionale è un contratto a titolo oneroso, ma che non esclude, quindi, la possibilità di un accordo di prestazione gratuita. In virtù di ciò, è consentita al professionista, la prestazione professionale gratuita per motivi di amicizia, parentela, di convenienza o di vantaggio.
Anche la stessa Agenzia delle Entrate, nella circolare del 28 settembre 2001, prevede espressamente che la gratuità delle prestazioni professionali può essere considerata verosimile nei confronti di parenti o di colleghi amici.
Come tutelarsi nel caso in cui ci si trovi a lavorare gratis per amici e parenti?
A mio avviso, per le prestazioni professionali molto semplici e di modico valore rese gratuitamente, potrebbe essere sufficiente la predisposizione di una lettera di incarico professionale da dove si evince la gratuità della prestazione professionale. Il fatto che la prestazione professionale resa gratuitamente sia semplice o di modesto valore, rende verosimile il fatto che non si sia percepito alcun compenso professionale.
Per le prestazioni professionali più complesse o rese nei confronti di soggetti con cui non si ha un legame di parentela stretto, oltre alla predisposizione di una lettera di incarico professionale ove si evinca la gratuità della prestazione, potrebbe essere necessario adottare qualche forma di tutela in più, come ad esempio, una dichiarazione resa dallo stesso cliente con allegata apposita documentazione e avere qualche accorgimento in più come prova da esibire in caso di controllo.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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