Per l’accertamento IVA è indispensabile tenere conto dell’inventario generale

L’accertamento IVA basato sulla percentuale di ricarico di un campione non significativo di articoli anziché sulla totalità della merce inventariata deve essere annullato. Questo, in sintesi, quanto sancito con la sentenza 2122/2/18 dalla Commissione tributaria regionale della Calabria, in analogia ad analoghi precedenti orientamenti della Corte di cassazione.

La Suprema corte, infatti, si era già espressa sul tema in esame stabilendo che in materia di IVA, la presunzione di maggiori ricavi rispetto a quelli denunciati non può considerarsi legittima, se:

  • fondata sul semplice raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita;
  • in particolare, applicata tenendo conto di alcuni articoli anziché di un inventario generale delle merci.

Con la sentenza 6849/2009, in altri termini, la Cassazione aveva sancito, infatti, che le presunzioni devono possedere i requisiti della “gravità”, intesa come ragionevole certezza dei fatti presunti (anche in termini probabilistici), “precisione”, ossia fondatezza e determinatezza dei fatti noti posti a base del ragionamento, “concordanza”, ovvero convergenza di più fatti noti verso la dimostrazione del fatto ignoto.

Sulla base di quanto sopra precisato dalla Suprema corte, i giudici di merito hanno quindi precisato che “il campione ha ignorato soprattutto la maggior parte del fatturato dell’azienda” e quindi disatteso i canoni di coerenza logica che avrebbero dovuto essere utilizzati per determinare la percentuale di ricarico. Inoltre, continuano i giudici della Commissione tributaria, in presenza di scritture contabili formalmente corrette, l’Agenzia delle entrate non può ammettere sic et simpliciter un maggior reddito d’impresa rilevando soltanto una percentuale di ricarico diversa da quella riscontrata in media nel settore di appartenenza.

A tal proposito, i giudici della Commissione regionale avevano anche richiamato un principio espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 27488/2013, secondo cui le medie di settore ”non costituiscono un fatto noto, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per se stesse, a integrare gli estremi di una prova per presunzioni”.

Le conclusioni cui giungono i giudici della Calabria in materia di accertamento basato sulle medie di settore possono quindi così essere riassunte:

  • l’Amministrazione finanziaria deve basare l’attività accertativa tenendo conto di un campione significativo di merci poiché non può considerarsi sufficiente il ricorso a dati irrisori;
  • le attività di verifica devono rispettare i canoni di coerenza e attendibilità enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in numerose occasioni.

Massimo D’Amico – Centro Studi CGN