L’Amministrazione finanziaria non può etichettare come esose le spese sostenute da uno studio di professionisti per servizi resi dalla società di servizi e riprenderle quindi a tassazione. È quanto affermato dai giudici della Commissione tributaria provinciale di Modena con la sentenza 89/3/2019.
La vicenda
L’Amministrazione aveva notificato un avviso di accertamento contestando al contribuente la deducibilità di alcuni costi sostenuti da uno studio per la gestione dei servizi amministrativi e informatici forniti da alcune società riconducibili ad alcuni professionisti del medesimo studio. Secondo l’Agenzia delle entrate, le somme corrisposte erano esose ed eccedevano un valore congruo.
Il contribuente si era opposto alla pretesa erariale basando la sua difesa sul fatto che le spese erano state classificate dall’ufficio alcune volte esose (e quindi antieconomiche) altre volte sovrafatturate. Secondo il contribuente, infatti, l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto provare l’antieconomicità dei costi sostenuti ritenuti esosi.
Il parere della Commissione tributaria
Il Collegio dei giudici di merito ha accolto le ragioni del contribuente annullando i rilievi sui costi avanzati dall’Agenzia delle entrate.
La Commissione tributaria provinciale di Modena, chiamata a risolvere la controversia, ha innanzitutto osservato che la Corte di cassazione, con la pronuncia n. 18904/2018 e anche con le ordinanze 11 gennaio 2018, n. 450 e 9 febbraio 2018, n. 3170, aveva già sancito che l’inerenza attiene al rapporto tra i costi sostenuti e l’attività in concreto esercitata; deve quindi essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti a un giudizio quantitativo. Deve infine essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo.
Il supremo Collegio inoltre, in tema di lva, afferma che l’inerenza del costo non può essere esclusa in base a un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e attività esercitata.
Secondo quanto affermato nella pronuncia della Commissione, infatti, in conformità all’orientamento già espresso dalla Suprema corte con le sentenze n. 18904/2018 , n. 3170/2018 e n. 450/2018 “la congruità o antieconomicità” rappresentano parametri che non sono espressione dell’inerenza ma “costituiscono meri indici sintomatici dell’inesistenza di tale requisito, ossia dell’esclusione del costo dall’ambito dell’attività d’impresa; pertanto, sono indeducibili solo quei costi che con ogni evidenza rappresentano una spesa estranea alle necessità dell’attività”.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN