L’INPS, con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, ha fornito importanti precisazioni sulla compatibilità tra lo status di amministratore di società di capitali e quella di dipendente con contratto di lavoro subordinato.
Ad onor del vero potremmo dire che l’Istituto si è allineato alla posizione assunta dalla Cassazione sin dagli anni novanta. Infatti, secondo la Suprema Corte (sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013), “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente”. Pertanto la carica di presidente del consiglio di amministrazione non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato poiché anche il presidente, al pari degli altri membri del consiglio, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale.
La valutazione della compatibilità tra le cariche presuppone l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni:
- che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;
- che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
- il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.
Al contrario è del tutto incompatibile la figura dell’amministratore unico con quella di lavoratore dipendente. Infatti l’amministratore che venisse assunto dalla medesima società che gestisce diventerebbe “datore di lavoro di se stesso”. Incompatibile per definizione.
Da valutare caso per caso è invece la figura dell’amministratore delegato. A tal proposito l’INPS fa presente che la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione a tale organo (che, come noto, può essere generale e, come tale, implicante la gestione globale della società ovvero parziale, qualora vengano delegati limitati atti gestori) sarà rilevante ai fini dell’ammissibilità o meno della coesistenza della carica con quella di lavoratore dipendente. Nel caso in cui l’amministratore sia munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione, non è consentita la possibilità per tale soggetto di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società. Diversamente, se il consiglio di amministrazione attribuisce il solo potere di rappresentanza, nulla osta all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Giovanni Fanni – Centro Studi CGN
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