È del 14 Maggio 2019 la Sentenza della Corte di Giustizia europea, causa C-55/418, che, interpretando la direttiva UE n. 89/391/CE sulla sicurezza e salute dei lavoratori, impone agli Stati membri l’obbligo per i datori di lavoro di individuare un “sistema oggettivo” di misurazione e rilevazione delle ore lavorate dai dipendenti.
Era la fine del 2018 quando il sindacato spagnolo si rivolgeva alla Corte Centrale Spagnola per ottenere l’obbligo a carico di un Istituto Bancario di istituire un sistema di registrazione dell’orario di lavoro giornaliero svolto dai dipendenti, i quali prestavano un grande volume di straordinari eccedenti alle ore contrattuali. Questo perché la banca, nonostante le disposizioni collettive (Ccnl), non aveva ritenuto necessario l’istituzione all’interno degli uffici di un sistema di rilevazione dell’orario di lavoro. In tal modo, secondo il sindacato, ai lavoratori (e al sindacato stesso) era negata la possibilità di controllare il rispetto dell’orario di lavoro pattuito, come pure di calcolare le ore di lavoro straordinario eventualmente prestate.
La Corte rilevava, infatti, che oltre alle ore lavorate in azienda, grazie alle nuove tecnologie e ai dispositivi mobile, si è sempre più connessi ed è possibile lavorare in qualunque orario della giornata e da qualunque luogo. Risulta, pertanto, utile rilevare anche il lavoro svolto fuori sede, senza obbligare alle più classiche modalità improntate esclusivamente sul controllo della presenza fisica in azienda.
La non obbligatorietà di registrazione giornaliera delle ore lavorate rende, infatti, difficoltoso il controllo per far rispettare i diritti dei lavoratori, tra cui la previsione di limiti massimi di orario di lavoro, normale e straordinario, di permessi e riposi. Risultato auspicato: migliorare le condizioni di vita e lavoro dei lavoratori. Il “cartellino”, quindi, nei fatti è anche uno strumento di tutela dei diritti fondamentali del lavoratore, la cui finalità è anche permette di verificare il rispetto dei periodi minimi di riposo.
Cartellino per tutti, quindi. La Corte osserva che, in assenza di un sistema di misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto dai lavoratori, non vi è altra via per stabilire con oggettività e affidabilità il numero di ore di lavoro svolte, la loro ripartizione nel tempo e il numero di ore straordinario, di fatto rendendo difficile se non impossibile per i lavoratori far valere i loro diritti (in tali casi, infatti, si è costretti a ricorrere a “testimoni” per provare in sede giudiziale le eventuali ore di lavoro prestate in più rispetto a quanto rilevato dal datore di lavoro).
Risulta, quindi, necessario che gli Stati obblighino per legge l’istituzione di strumenti che consentano la determinazione effettiva e affidabile delle ore di lavoro; ciò al fine di non privare i datori di lavoro e i lavoratori della possibilità di verificare se i diritti loro garantiti siano rispettati. Un sistema di registrazione dell’orario, infatti, offre ai lavoratori uno strumento efficace che, tra l’altro, facilita sia la prova di violazioni dei loro diritti sia il controllo da parte dei giudici.
Spetta ora agli Stati individuare le concrete modalità di attuazione del sistema di misurazione, in particolare per quanto riguarda la forma e tenendo conto delle specificità di ogni settore di attività e delle dimensioni delle imprese.
La novità di certo potrebbe modificare l’attuale sistema di rilevazione delle presenze, in base al quale il datore di lavoro è tenuto a indicare nel Lul (Libro Unico del Lavoro), soltanto un calendario delle presenze dei lavoratori e per ciascun giorno il numero delle ore di lavoro effettuate. Misure spesso rivelatesi insufficienti a fissare l’effettiva quantità di lavoro, tanto da indurre gli ispettori ad adottare prescrizioni alle aziende, in sede di vigilanza, con l’obbligo di predisporre sistemi di registrazione giornaliera, cartacei o informatici, con orari di inizio e fine dei turni di servizio di ciascun lavoratore.
La pronuncia della Corte ha un impatto di marginale rilievo sull’Italia, dotata di una valida legislazione in materia. D’altro lato, però, va attentamente valutata, per quanto attiene agli elementi di indispensabile tutela di un altro diritto fondamentale previsto dalla Carta UE: ossia la tutela della privacy del lavoratore.
La novità dovrà infatti confrontarsi con la giurisprudenza e le normative in materia che, in più occasioni, hanno posto come limite, all’adozione di sistemi più particolareggiati di rilevazione delle presenze, l’art. 4 della legge n. 300/1970 che vieta il “controllo” anche indiretto dei lavoratori.
Il tema è sensibilissimo: l’idea di essere possibili destinatari di un controllo da parte di un operatore fisicamente posto in una posizione remota rispetto alla propria, nonché l’inconsapevolezza circa il momento esatto in cui tale controllo sarà esercitato, genera nel lavoratore un fortissimo disagio che inevitabilmente sfocia in un profondo stato di frustrazione. La normativa sulla privacy, sia italiana che europea, ha tra i propri principi cardine quello della “adeguata informativa” quale presupposto per ogni trattamento di dati personali.
E perché tale controllo possa essere effettuato, è indispensabile che l’interessato sia adeguatamente informato su chi sta trattando i suoi dati e per quali finalità, sui soggetti terzi ai quali tali dati potrebbero essere trasferiti e su quali diritti possa esercitare con riguardo ai predetti dati. Del resto, il diritto alla protezione dei propri dati personali è innanzitutto diritto della persona fisica a mantenere il controllo sulla circolazione delle informazioni personali che la riguardano.
Il diritto all’informativa è riconosciuto anche al lavoratore nei confronti del datore di lavoro, con riguardo al trattamento dei suoi dati nell’esecuzione del rapporto di lavoro. Al cartellino cartaceo da timbrare in entrata e in uscita, l’introduzione di nuovi e sempre più moderni strumenti tecnologici ha sostituito sistemi di timbratura elettronica, l’utilizzo di badge, smartphone e tablet, la rilevazione di impronte digitali o il riconoscimento facciale. Ma questi sistemi di controllo delle presenze, che spesso utilizzano dati biometrici (le impronte digitali) o sistemi gps (si pensi a pc, telefoni e tablet aziendali) sono sempre legittimi e rispettosi della privacy e della dignità del lavoratore?
Nell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, come novellato nel 2015 dal Jobs Act (Art. 23 D.Lgs. 151/2015), presupposto per l’utilizzo da parte del datore di lavoro dei dati raccolti attraverso strumenti di lavoro (anche informatici/telematici, quali tablet, pc, smartphone, ecc. nonché attraverso strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze), è garantire una adeguata informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e sulle modalità di effettuazione del controllo. Per conciliare, tuttavia, le caratteristiche degli strumenti tecnologici utilizzabili dall’azienda con le esigenze di avere un effettivo ed efficace controllo sulle presenze, senza con ciò ledere la privacy dei lavoratori, la nuova disciplina ha evidenziato innanzitutto la necessità che i controlli e le loro modalità di rilevazione siano oggetto di un preventivo accordo sindacale, oppure – in mancanza – della preventiva autorizzazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL).
L’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato hanno la funzione di garantire il rispetto da parte dell’azienda delle norme in materia, di modo che i controlli non siano eccessivamente invasivi per il lavoratore, sproporzionati e lesivi della sua privacy, sia con riferimento ai momenti della giornata in cui il dipendente non si trova in servizio, sia con riguardo all’uso di dati personali sensibili.
In base al metodo di controllo e rilevazione delle presenze utilizzato, il datore potrà, pertanto:
- non dare alcuna specifica informativa;
- oppure dovrà dare adeguata informazione ai lavoratori;
- ancora sarà obbligato a sottoporre il sistema di controllo di cui intende avvalersi all’Ispettorato del lavoro o alleassociazioni sindacali di categoria.
Se la filosofia dello Statuto dei Lavoratori del 1970 era imperniata sulla procedimentalizzazione del potere di controllo dell’imprenditore in chiave collettiva (presupponendo per l’installazione di determinati strumenti con potenzialità di controllo, l’accordo con il Sindacato o l’autorizzazione del Ministero), oggi la nuova norma valorizza la dimensione individuale (propria, del resto, di un diritto quale quello alla tutela della propria riservatezza).
E in materia, il Garante della privacy (Provvedimento n. 357 del 15 settembre 2016, “Verifica preliminare. Sistema di lettura di dati biometrici mediante parziale identificazione dell’impronta digitale per la rilevazione della presenza in servizio”) ha mostrato diffidenza verso le nuove tecnologie, tanto che, in più occasioni, l’Autorità ha affermato che, con riguardo all’uso di tecnologie biometriche per finalità di rilevazione delle presenze, la legittima finalità volta ad accertare il rispetto dell’orario di lavoro anche mediante forme di controllo oggettive e di tipo automatizzato deve, in ogni caso, essere effettuato nel pieno rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, soprattutto con riguardo all’osservanza dei principi di necessità e proporzionalità; il datore di lavoro è dunque sempre tenuto a cercare i mezzi meno invasivi scegliendo, se possibile, un procedimento non biometrico (intendendosi per tale, ad esempio, l’utilizzo di impronte digitali o il riconoscimento attraverso scansione dell’iride per rilevare la presenza del lavoratore).
Nuove misure di sicurezza per proteggere i dati personali sono ulteriormente state imposte dal nuovo Regolamento Privacy cui l’Italia ha dovuto uniformarsi entro il 25 maggio 2018, che riconosce ai cittadini diritti più ampi introducendo una legislazione valida in tutta l’UE che introduce anche temi innovativi come il diritto all’oblio. Nuovi criteri, infatti, sono stati imposti alle imprese per il rispetto dei dati personali introducendo, al tempo stesso, anche sgravi e semplificazioni per le aziende che si adegueranno rispettando i nuovi dettami. Il nuovo Regolamento ha coinvolto il trattamento dei dati personali delle sole persone fisiche, e sono tenute a conformarsi alle prescrizioni UE tutte le aziende pubbliche ma anche le private il cui trattamento dei dati personali presenti rischi. Il campo di azione è decisamente ampio, rivolgendosi a tutta quella fascia di lavoratori “in esterna o in smart working” o che sono tenuti a spostarsi più volte al giorno da un luogo all’altro, dovendo comunicare di continuo lo stato dei propri orari operativi.
Oggettività, affidabilità e accessibilità: sono questi i requisiti dei sistemi di rilevazione delle presenze definiti dalla Corte di Giustizia, per garantire serietà e rispetto del rapporto di lavoro e a cui nel tempo tutti gli Stati membri gradualmente dovranno adeguarsi. Nel rispetto di un costante miglioramento delle condizioni di vita della Risorsa Uomo, nel rispetto della sua privacy e della sua dignità.
Francesco Geria – Labortre Studio Associato