Nell’emergenza e urgenza del Covid-19, commercialisti e consulenti del lavoro si sono dimostrati pronti ad affrontare il cambiamento, anche meglio dei loro stessi clienti aziende o dei colleghi francesi e spagnoli. Un alto livello di flessibilità e di capacità reattiva, a cui non corrisponde però un altrettanto alto livello di redditività: la business school del Politecnico di Milano ci aiuta a capire perché.
Venerdì 25 settembre, la School of Management del Politecnico di Milano ha presentato i risultati della ricerca 2019 – 2020 dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale. Quest’anno i temi cardine della ricerca sono stati lo smart working e il knowledge management (già affrontati nel primo incontro di maggio) e, più in generale, la capacità dei professionisti di reagire e cogliere in modo proattivo le sfide del mercato e i cambiamenti inaspettati.
Sia sul fronte dello smart working sia su quello del knowledge management – indicatori dello stato di avanzamento digitale dello studio professionale – i professionisti italiani si contraddistinguono per una maggior maturità.
In Italia lo smart working coinvolge il 60% degli studi, tra forme strutturate e informali, e oltre la metà dei professionisti lo adottava ben prima dell’emergenza sanitaria; di contro, la Spagna ha una situazione del tutto immatura e un’elevata resistenza culturale al cambiamento, mentre i colleghi francesi hanno molti strumenti e tecnologie per il lavoro agile ma a livello organizzativo e gestionale l’approccio è per lo più informale.
Il primato italiano si evidenzia anche sul fronte del knowledge management: il 22% degli studi professionali nostrani ha un sistema di KM strutturato o informale; di contro la Francia ha una situazione frammentata e inconsapevole, il più delle volte per mancanza di visione strategica. La Spagna, infine, è limitata dalla comprensione stessa del concetto di gestione del sapere, tendenzialmente confuso con elearning e formazione obbligatoria.
L’eccellenza dei professionisti italiani su queste tematiche si evidenzia anche in relazione ai loro stessi clienti aziende. Fatta eccezione per la grande azienda, infatti, le PMI italiane hanno un basso livello di adozione e consapevolezza del lavoro smart e della gestione della conoscenza. L’emergenza sanitaria, del resto, ha obbligato all’home working, mettendo in luce tutti i limiti e le criticità di una modalità di lavoro nuova ma non programmata, anzi forzata. Certo il Covid-19 ha aiutato a sdoganare i pregiudizi mentali di lavoratori e datori di lavoro, ma il grande scoglio all’adozione efficace dello smart working rimane e riguarda gli obiettivi, ovvero la capacità per i responsabili di definire obiettivi e risultati misurabili, passando da un lavoro “a tempo” ad un lavoro “ad obiettivi”.
Questa differenza tra aziende e professionisti si nota anche nei numeri dell’investimento tecnologico: in crescita costante da parte di commercialisti e consulenti del lavoro, certo per merito (obbligato) degli adempimenti normativi quali fatturazione elettronica e GDPR, ma sempre di più per convinzione e orientamento culturale.
La cultura dell’innovazione in Italia sembra essere un fattore distintivo di commercialisti e consulenti del lavoro, ma non si riesce a “mettere a terra” la componente culturale portando benefici tangibili in termini di redditività per lo studio.
In Francia i colleghi expert comptable sono organizzati in circa 23 ordini regionali per un totale di circa 20.000 professionisti, contro gli oltre 118.000 commercialisti italiani. Di certo, grazie anche alle numeriche più contenute, i francesi riescono a registrare un giro d’affari che supera agevolmente il milione di euro per una dimensione media di studio di 4/5 dipendenti (2/3 media italiana, dati Osservatorio Politecnico di Milano 2017-2018). Eppure in Francia il campo d’azione è più limitato, visto che, ad esempio, i commercialisti francesi sono esclusi dagli incarichi giudiziali e dal contenzioso tributario.
In Spagna la situazione è leggermente diversa perché, a differenza dell’Italia, i professionisti analoghi ai nostri commercialisti sono organizzati soprattutto in studi associati e si dedicano principalmente alla revisione dei conti, mentre la consulenza fiscale è un mercato molto più ampio e può essere erogata da figure professionali di matrice economica senza alcun titolo di Stato specifico.
Facendo sintesi dei contributi autorevoli emersi durante il convegno del Politecnico, il limite e la differenza più penalizzante i professionisti italiani, rispetto ai colleghi esteri, sembra essere il sistema normativo e regolamentare che in Italia rende difficoltosa la professione e tende a vanificare gli sforzi della categoria nella direzione dell’innovazione tecnologica e culturale.
A supporto dei professionisti che intendono continuare nella direzione intrapresa di innovazione e crescita della competitività, l’Osservatorio ha messo a punto un indice e un set di azioni correttive ed evolutive che possono concretamente aiutare gli studi ad evolvere in modo puntuale e strutturato. Il CIX (Competitivity Index) – così si chiama l’indicatore – è il risultato di 5 leve gestionali che analizzano gli aspetti chiave dell’impresa professionale e cioè: collaborazione, competenze, mercato, innovazione, organizzazione.
Per tutti coloro che volessero sottoporsi a questo check up, presto sarà possibile richiedere direttamente all’Osservatorio l’analisi del proprio CIX e l’elaborazione delle azioni correttive più indicate per la propria realtà lavorativa.
Finalmente uno strumento scientifico e allo stesso tempo pratico che può mettere in luce punti di forza e di debolezza degli studi professionali, una sorta di SWOT analysis di sintesi e a portata di mano.
Marilena Antonini – Centro Studi CGN