Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, lo smart working è più volte stato oggetto di promozione e incentivo. Sempre più lavoratori, quindi, si ritrovano a svolgere la propria attività in modalità “agile” chiedendosi: “durante lo smart working avrò comunque diritto al buono pasto?” Facciamo chiarezza alla luce delle recenti ordinanze della Cassazione e di una sentenza del Tribunale di Venezia.
In base alla definizione contenuta nella Legge 81 del 2017, il lavoro agile (o smart working) è la “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
La stessa Legge 81 del 2017, purtroppo, non contiene alcun riferimento specifico relativo alla spettanza o meno dei buoni pasto; l’unico rimando alla necessità di garantire ai lavoratori agili la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie, è presente all’articolo 20: “Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, […] nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”.
Ad una prima lettura di tale comma, quindi, sembrerebbe che il lavoratore in smart working abbia diritto al buono pasto, in accordo con l’obbligo di pari trattamento rispetto ai colleghi presenti in azienda; tale tesi, però, è stata disattesa di recente da due ordinanze della Corte di Cassazione e da una sentenza del Tribunale di Venezia. Dalla lettura congiunta delle ordinanze e della sentenza, appare chiaro che il buono pasto non venga giudicato elemento integrante della retribuzione del lavoratore, bensì quale benefit concesso a seguito delle modalità di organizzazione del lavoro e della struttura aziendale.
Vediamo nel dettaglio cosa è stato specificato dalle singole fonti.
- Ordinanza della Cassazione n. 31137 del 29 novembre 2019. La Cassazione ha affermato che tecnicamente il buono pasto non fa parte della retribuzione dal punto di vista normativo, ma che si tratta piuttosto di un benefit: “il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita – laddove non sia previsto un servizio mensa – la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall’Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio”.
- Decreto del Tribunale di Venezia n. 3463 dell’8 luglio 2020. Il caso sottoposto al Tribunale, presentato dalla Federazione metropolitana della FP CGIL di Venezia avverso il Comune di Venezia, riguardava l’esclusione dal godimento dei buoni pasto per i lavoratori in smart working durante l’emergenza sanitaria da COVID- 19, senza previa contrattazione con le organizzazioni sindacali. Il Tribunale di Venezia ha definito l’incompatibilità dei buoni pasto con lo smart working, dal momento che il CCNL di riferimento prevede che la maturazione dei buoni pasto sottostia alla necessità che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto fuori dall’orario di lavoro. Quando la prestazione è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio crede la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale: “Il lavoro agile è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto. Come infatti ancora ricordato dall’O.S. ricorrente il diritto ai buoni pasto in favore dei lavoratori degli enti locali è previsto al titolo VI del CCNL 14 settembre 2000, rubricato “Trattamento Economico”, e in particolare agli artt. 45 e 46 – richiamati all’art. 26 del CCNL di comparto, che ne subordinano la fruizione soltanto a determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione. Per la maturazione del buono pasto, sostitutivo del servizio mensa (v. art. 45 CCNL di comparto), è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio. Quando la prestazione è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale. Né a diversa soluzione può indurre l’art. 20 della legge n. 81 del 2017, che nel disciplinare il lavoro agile prevede che il lavoratore in smart working abbia diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. […] Non si tratta quindi di un elemento della retribuzione, né di un trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro. Se così è, i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo, che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ex art. 20 Legge n. 81 del 2017”.
- Ordinanza della Corte di Cassazione n. 16135 del 28 luglio 2020. La Cassazione ha riconosciuto la natura non retributiva dei buoni pasto, precisando che: “la natura dei buoni pasto alla stregua, non già di elemento della retribuzione “normale”, ma di agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, pertanto non rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto; sicché, il regime della loro erogazione può essere variato anche per unilaterale deliberazione datoriale, in quanto previsione di un atto interno, non prodotto da un accordo sindacale”.
L’erogazione del buono pasto, dunque, costituisce una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale (non rientrante nel trattamento retributivo e non stabilita da accordi a monte) che come tale può essere variata per decisione unilaterale del datore di lavoro.
In base a tali fonti, quindi, il buono pasto non spetta mai ai lavoratori in smart working? Normativamente è prevista un’unica eccezione, definita dall’articolo 6 del Decreto Legge 333/1992 “Salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall’azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato”. Il lavoratore in smart working, quindi, avrà diritto ai buoni pasto solo qualora essi siano previsti e regolamentati dal CCNL di riferimento oppure dal contratto individuale del singolo lavoratore con diversa qualificazione rispetto all’indennità di mensa (es. i CCNL che riconoscono l’indennità sostitutiva a tutti i lavoratori, compresi coloro che non utilizzano il servizio mensa). Contrariamente, qualora l’erogazione dei buoni pasto non sia stabilita da contratto collettivo nazionale o da lettera di assunzione quale elemento retributivo vero e proprio, il datore di lavoro potrà decidere unilateralmente di non erogare i buoni pasto ai lavoratori in smart working
Sara Leon – Centro Studi CGN