Ai sensi della Legge di Bilancio 2021, risulta prorogato fino al 31 marzo 2021 il cosiddetto “blocco dei licenziamenti”, inizialmente introdotto dal Decreto Cura Italia.
In particolare, fino al 31 marzo 2021, resta precluso l’avvio di procedure di mobilità e di licenziamenti collettivi di cui alla Legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano sospese anche le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Restano salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, venga riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del medesimo contratto di appalto.
Pertanto, in queste ultime fattispecie, l’appaltatore uscente può procedere al licenziamento anche in tale periodo emergenziale purché i lavoratori vengano successivamente assunti dal nuovo appaltatore. Tuttavia, il nostro ordinamento non impone di per sé il passaggio dei lavoratori addetti all’appalto alle dipendenze del nuovo appaltatore nel caso di subingresso di un nuovo appaltatore. Tale effetto si realizza tramite l’inserimento di clausole sociali nel contratto di appalto, nel bando di gara ovvero nei contratti collettivi.
Inoltre, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo e restano sospese le procedure in corso relative ai licenziamenti intimati dai datori di lavoro con più di 15 dipendenti.
Ai sensi dell’articolo 3 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con preavviso è determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
I divieti sopra riportati non si applicano nelle seguenti ipotesi:
- licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività. La sospensione dei licenziamenti si applica quindi anche nell’ipotesi in cui l’azienda chiuda solo in parte, ad esempio cessando l’attività in una o più unità produttive senza poter ricollocare i lavoratori nelle sedi superstiti;
- accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. Il divieto non si applica solamente nei confronti di lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
- licenziamenti intimati in caso di fallimento, nel caso in cui non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nell’ipotesi in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
È importante chiarire come, qualora nel corso della liquidazione della società si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile, il licenziamento risulti illegittimo.
In tali ipotesi, infatti:
- i rapporti di lavoro continuano con il cessionario ed i lavoratori conservano i diritti che ne derivano;
- il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che i lavoratori avevano al tempo del trasferimento, salvo liberazione del cedente con le procedure, in sede protetta, previste dagli articoli 410 e 411 c.p.c.;
- il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa subentrante;
- il passaggio di azienda (anche in forma parziale o attraverso l’affitto) è subordinato al rispetto della procedura di informazione e di consultazione sindacale prevista dall’art. 47 della legge n. 428/1990.
In merito alla fattispecie di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro attraverso accordo collettivo aziendale, è importante sottolineare come l’accordo debba essere stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Al fine della risoluzione non sono quindi ammessi gli accordi stipulati dalle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) e aziendali (RSA).
Inoltre, solo i lavoratori che aderiscono al suddetto accordo possono essere “licenziati”. La sola stipulazione dell’accordo sindacale, infatti, non è sufficiente ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro.
Ai lavoratori che aderiscono agli accordi è riconosciuto il trattamento di disoccupazione di cui all’articolo 1 del Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (NASpI), anche se si, in definitiva, trattasi di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
In materia, è intervenuto l’Inps con proprio Messaggio del 5 febbraio 2021, n. 528, precisando che le risoluzioni consensuali intervenute a partire dal 15 agosto 2020 ai sensi dell’articolo 14 del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, devono essere esposte nel flusso UniEmens con il codice “2A” avente il significato di “Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro”.
Inoltre, viene specificato che i datori di lavoro che abbiano utilizzato un codice “Tipo cessazione” diverso da quello sopra indicato, dovranno procedere alle necessarie correzioni.
Per tale fattispecie di risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto al versamento ticket di licenziamento.
I licenziamenti intimati in violazione dei suddetti divieti si ritiene debbano essere considerati nulli ex articolo 1418, comma 1 del codice civile, anche se non espressamente previsto dalla Legge.
Ai sensi di tale disposizione, il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
Restano in ogni caso esclusi dal divieto e, quindi, possibili i licenziamenti per giusta causa ex articolo 2119 del codice civile e per giustificato motivo soggettivo di cui all’articolo 3 della Legge n. 604/1966.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato