Per effetto delle disposizioni contenute nel Decreto Sostegni, viene ulteriormente prorogato il cosiddetto “blocco” dei licenziamenti. Chiariamo quali sono i soggetti destinatari e quali sono le eccezioni al divieto di licenziamento.
Fino al 30 giugno 2021 è, infatti, preclusa la possibilità, per i datori di lavoro, di avviare procedure di licenziamento collettivo ai sensi della Legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano pendenti quelle avviate successivamente al 23 febbraio 2020.
Inoltre, sempre fino al 30 giugno 2021, restano altresì preclusi i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e sospese le procedure di tentativo di conciliazione in corso ex Legge 15 luglio 1966, n. 604.
Rimangono, pertanto, bloccati i licenziamenti individuali e le procedure da attivarsi presso le sedi dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro competenti nei casi di intimazione della risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo.
Tuttavia, licenziamenti collettivi sono comunque ammessi qualora il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, venga riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro ovvero di clausola inserita nel contratto di appalto.
Nell’ambito di un contratto di appalto o subappalto è dunque possibile, anche in tale periodo emergenziale, avviare procedure di licenziamento collettivo nei confronti di lavoratori assunti presso l’appaltatore uscente purché, per effetto del subentro nell’appalto, il nuovo appaltatore riassuma i lavoratori precedentemente licenziati.
L’ordinamento non prevede di per sé il passaggio dei lavoratori addetti all’appalto alle dipendenze del nuovo appaltatore, a seguito di subingresso di un nuovo appaltatore.
Tale effetto si produce, infatti, nella maggior parte dei casi, attraverso l’apposizione di una clausola sociale al contratto di appalto o per le disposizioni stabilite dalla contrattazione collettiva applicata o da norme di legge.
Anche a fronte di tale disposizione contenuta nel Decreto Sostegni, permangono in ogni caso alcuni dubbi in merito alla legittimità di un eventuale licenziamento in fase emergenziale giustificato da tale norma in quanto non viene specificato, ad esempio, il termine entro il quale debba avvenire la riassunzione dei lavoratori presso il nuovo appaltatore.
Il Decreto Legge n. 41/2021, oltre alla deroga per i licenziamenti collettivi nell’ambito dell’appalto, prevede ulteriori ipotesi in cui resta comunque possibile avviare procedure di risoluzione dei rapporti di lavoro.
In particolare, sono consentiti i licenziamenti:
- motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, purché nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possa configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
- intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Tuttavia, nelle ipotesi in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso;
- conseguenti ad accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.
In tal caso i lavoratori hanno comunque diritto al trattamento di disoccupazione (NASpI) anche se in concreto si tratta di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Sul punto si era già espresso l’Inps con proprio Messaggio del 5 febbraio 2021, n. 528, con riferimento alla normativa previgente.
L’Istituto ha precisato in merito che l’interruzione del rapporto di lavoro interviene a seguito di una risoluzione consensuale stipulata tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e non anche con accordi territoriali o nazionali di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Inoltre, il rapporto di lavoro cessa solamente con riferimento ai lavoratori che aderiscono all’accordo stesso, non essendo possibile procedere alla risoluzione del rapporto anche nei confronti dei prestatori di lavoro che non abbiano sottoscritto l’accordo.
Il Decreto Sostegni ha inoltre disposto che, a partire dal 1° luglio e fino al 31 ottobre 2021, i datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali emergenziali (in particolare per i datori di lavoro che accedono alla cassa integrazione guadagni in deroga, ai Fondi di integrazione salariale, ad altri Fondi di solidarietà e alla cassa integrazione salariale per gli operai agricoli) non possono ricorrere alle procedure di licenziamento per tutta la durata del trattamento.
Pertanto, per effetto di tale disposizione, sembrerebbe ulteriormente prorogata la possibilità di licenziare, per giustificato motivo oggettivo, nei confronti di datori di lavoro che, alla data del 1° luglio 2021, fruiscano di trattamenti di integrazione salariale con causale Covid-19.
In materia si attendono gli opportuni chiarimenti per stabilire se il blocco al 31 ottobre 2021 debba intendersi inderogabile per tutti i datori di lavoro che potenzialmente potrebbero usufruire degli ammortizzatori sociali sopra richiamati ovvero se si tratti di un’ipotesi alternativa all’utilizzo dei trattamenti di integrazione salariale.
In tale ultima fattispecie, solamente i datori che a decorrere dal 1° luglio 2021 non usufruiscano più di ammortizzatori sociali potranno procedere a licenziamenti individuali e collettivi.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato