È ancora valido il principio secondo il quale, quando varia la compagine di una società di persone, il reddito d’impresa deve essere attribuito ai soci che rivestono tale qualifica alla chiusura del periodo d’imposta? E cosa succede se la variazione avviene a seguito del decesso di un socio?
In due recenti documenti di prassi (risposte nn. 28 e 306 rispettivamente del 11.1.2021 e 30.4.2021), l’Agenzia delle Entrate conferma la validità di quanto espresso con la Risoluzione del 17.4.2008 n. 157/E.
In quell’occasione, l’Agenzia delle Entrate ribadì che nell’ipotesi in cui, in corso d’anno, muti la compagine sociale delle società di persone ed assimilate, il reddito d’impresa prodotto deve essere attribuito esclusivamente ai soci che rivestono tale qualifica alla chiusura del periodo d’imposta.
Se il principio è di facile applicazione nei casi di mutazioni di compagini sociali conseguenti a decisioni volontarie, la situazione si complica quando interviene il decesso di un socio.
In questi casi, se il contratto sociale richiama le disposizioni del codice civile, quando muore uno dei soci “gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano” (art. 2284).
La disposizione evidenzia la peculiarità della partecipazione ad una società di persone, che si fonda sulle qualità possedute da ogni socio, per cui in caso di decesso di uno di loro, gli eredi non subentrano automaticamente nella compagine societaria ma maturano il diritto ad avere liquidata la quota del defunto. Fermo restando eventuali disposizioni statutarie particolari, il subentro degli eredi in società richiede il consenso dei soci superstiti.
E comunque, nel caso in cui nell’asse ereditario siano presenti soggetti minori o interdetti, l’accordo finalizzato a continuare il rapporto societario è subordinato alla richiesta ed all’ottenimento dell’autorizzazione del Giudice tutelare.
Quindi, una persona che eredita la quota di partecipazione di una società di persone ed assimilate deve accordarsi coi soci superstiti per la continuazione della società. L’accordo può avvenire anche con fatti concludenti e senza metterlo per iscritto (Corte di Cassazione – sentenza n. 6849 del 16.12.1988).
Fiscalmente, le pronunce di prassi in premessa citate riportano la questione della tassazione del reddito d’impresa (o la deduzione della perdita rilevata), in una società di persone ed assimilate, alla composizione della compagine sociale, determinata coi principi civilistici.
Pertanto, ove al 31 dicembre di un determinato anno, non fosse ancora intervenuto l’accordo tra i soci superstiti e gli eredi, per la continuazione del rapporto societario già intercorrente col socio defunto, il risultato d’esercizio sarà attribuito ai soci qualificati come tali alla predetta data.
La stessa cosa avviene in caso di minori o incapaci; per cui, se al 31 dicembre di un determinato anno, su domanda, il Giudice tutelare non si fosse pronunciato favorevolmente, il risultato d’esercizio sarà attribuito ai soci qualificati come tali alla predetta data.
Di conseguenza, nessun reddito deve essere imputato al socio defunto, nemmeno quello relativo al periodo 1 gennaio – data di decesso.
Dott. Rag. Giuseppina Spanò – Palermo