L’art. 3 del decreto legge n. 125/2020 (convertito nella legge 159/2020), anticipando le previsioni già contenute nel codice della crisi e dell’insolvenza, ha provveduto a modificare l’art. 180 della legge fallimentare, che disciplina il giudizio di omologazione del concordato preventivo, inserendovi un nuovo 4° comma.
Tale modifica legislativa riveste particolare rilievo nell’ambito della procedura di concordato preventivo, in quanto attribuisce al Tribunale il potere di omologazione anche “in mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali, in due circostanze:
- quando l’adesione da parte dei citati enti risulti determinante ai fini del conseguimento delle maggioranze richieste ai sensi dell’art.177 l.fall.;
- quando la proposta di soddisfacimento dell’erario e/o degli enti previdenziali risulti conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Viene così a manifestarsi il fenomeno di origine anglosassone del “cram down” ovvero la facoltà del Tribunale di omologare il concordato, nonostante un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesti la convenienza della proposta, se ritiene che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente percorribili.
Va opportunamente osservato che uno degli aspetti di maggiore criticità per l’applicazione del cram down fiscale e previdenziale, riguarda la corretta interpretazione delle locuzioni “mancanza di voto” e “mancanza di adesione” da parte dell’Erario e degli enti previdenziali e assistenziali.
In atri termini, si tratta di accertare se la mancanza di adesione e la mancanza di voto, quali presupposti per l’omologazione del concordato preventivo ricorra:
- solamente quando i predetti enti non si siano pronunciati sulla proposta formulata dal debitore;
- anche quando rigettino la proposta formulata dal debitore.
In merito a tale problematica interpretativa, si sono sviluppati tre diversi orientamenti.
Il primo orientamento predilige una interpretazione “estensiva” in ragione della quale il cram down fiscale e previdenziale opererebbe non solo nel caso di silenzio ma anche nell’eventualità di rigetto espresso dai creditori pubblici qualificati, fermo restando la maggior convenienza della proposta e la loro decisività per il raggiungimento delle maggioranze richieste per l’approvazione del concordato o per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione.
Un secondo orientamento propende invece per una interpretazione “restrittiva” in base alla quale l’omologazione coattiva da parte del Tribunale risulterebbe legittima solo nel caso in cui i creditori pubblici qualificati non si pronunciassero sulla proposta avanzata dal debitore/contribuente.
L’ultimo orientamento ritiene preferibile una interpretazione “intermedia” nella quale il potere sostitutivo del Tribunale interverrebbe sia nel caso di mancata pronuncia sia nel caso di rigetto della proposta da parte degli enti sopra citati, ma solo in riferimento all’accordo di ristrutturazione dei debiti con esclusione del concordato preventivo.
L’interpretazione estensiva è stava avvallata da due recenti sentenze:
- sentenza del Tribunale di La Spezia del 14 gennaio 2021;
- sentenza del Tribunale di Forlì del 15 marzo 2021.
Particolare rilievo riveste una terza recente sentenza del Tribunale di Teramo del 14 aprile 2021. In questo caso è stato chiesto al giudice delegato in un concordato preventivo che non aveva ottenuto la maggioranza richiesta ex lege per l’approvazione, a causa del manifesto dissenso dell’Agenzia delle Entrate e dell’Inps, di pronunciarsi in merito.
Il giudice delegato è stato chiamato ad esprimersi sull’adozione dei provvedimenti necessari ad ottenere l’omologazione della proposta concordataria con riferimento a due questioni prevalenti evidenziate dal curatore:
- l’applicabilità del cram down fiscale anche nel caso di voto negativo da parte dell’amministrazione finanziaria;
- l’applicabilità in via estensiva o analogica del cram down fiscale al concordato fallimentare (in quanto previsto solo per il concordato preventivo).
Di contro, per quanto attiene all’interpretazione restrittiva, va opportunamente citata la sentenza del Tribunale di Bari del 18 gennaio 2021 avente ad oggetto un caso di concordato preventivo che non ha ottenuto l’approvazione per voto contrario espresso dall’Agenzia delle Entrate. Nel merito, il Tribunale di Bari ha ritenuto non applicabile il novellato art. 180 l. fall., in quanto la norma si riferisce espressamente alla mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria, non contemplando anche l’ipotesi della manifestazione di un voto contrario, come avvenuto nel caso di specie.
Tornando alla pronuncia del Tribunale di Teramo, per quanto concerne la corretta interpretazione della locuzione “in mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria, il giudice delegato ha condiviso l’interpretazione estensiva con le motivazioni che seguono.
Prima motivazione
Secondo il giudice delegato, nella mancanza di voto e nella mancanza di adesione degli enti pubblici, rientra non soltanto il silenzio ma anche il diniego espresso dagli stessi.
Seconda motivazione
La disciplina introdotta dalla legge 159/2020 persegue il fine di assicurare ai debitori/contribuenti una adeguata tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di rigetto delle proposte transattive emessi dall’amministrazione finanziaria o dagli enti previdenziali e assistenziali, quando tali provvedimenti siano in palese contrasto con i principi sanciti dall’art. 182-ter l.fall.
Sotto il profilo prettamente teorico, tale tutela giurisdizionale opererebbe sin da quando è stata introdotta la normativa che disciplina il trattamento dei crediti erariali, ma sul piano pratico, è di fatto inattuabile.
Malgrado il parere contrario dell’amministrazione finanziaria, si è ritenuto oltremodo essenziale apprestare un rimedio di natura giurisdizionale all’illegittimo rigetto della proposta concordataria.
Da tale esigenza deriva il diritto riconosciuto al debitore/contribuente di impugnare dinanzi al giudice quei provvedimenti di rigetto che violino il dettato dell’art.182-ter l.fall. o che si fondino su valutazioni errate.
Inoltre, la competenza a pronunciarsi in merito a tale impugnazione è stata attribuita (dopo un primo pronunciamento della Corte di Cassazione) al Tribunale fallimentare, in ragione del fatto che la finalità concorsuale dell’accordo transattivo risulta prevalente rispetto a quella fiscale.
In tal modo, è indubbio che la discrezionalità dell’amministrazione finanziaria a concludere accordi transattivi con i debitori contribuenti venga controbilanciata dalla pronuncia giudiziale in merito al parere assente o negativo relativo alla proposta concordataria.
Il giudice delegato nel voler evidenziare la “ratio” della novella ha espressamente richiamato la relazione illustrativa al Codice della Crisi, nella quale si evidenzia come le ingiustificate resistenze alle proposte concordatarie posso concretizzarsi nei seguenti casi:
- quando l’ente pubblico posticipa oltre ogni ragionevole arco temporale la risposta alla proposta transattiva;
- quando rigetta espressamente tale proposta.
Il legislatore, quindi, ha voluto disciplinare in modo più incisivo il trattamento dei crediti erariali nell’ambito dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione.
In altri termini, nell’ambito delle due procedure, i debitori proponenti potranno superare il non voto, la non adesione espressa o il voto contrario dei creditori pubblici qualificati, qualora il loro consenso risulti decisivo.
Si può quindi ritenere che il potere del tribunale di omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione, anche in mancanza di adesione da parte della pubblica amministrazione rappresenti un buon punto di sintesi per conciliare l’interesse dei debitori/contribuenti di rendere più celeri le procedure, con l’interesse di un efficace funzionamento della pubblica amministrazione.
Enrico Cusin – Centro Studi CGN