Dal 6 agosto la certificazione verde Covid-19 (cosiddetta green pass) diventa lo strumento necessario per accedere a numerosi servizi e attività, dai ristoranti ai cinema, dalle palestre alle fiere. Chiariamo in quali casi è obbligatorio il green pass, cosa occorre fare per ottenerlo e quali sono le sanzioni in caso di violazione, sia da parte dell’esercente sia da parte dell’utente.
A partire dal 6 agosto 2021, infatti, il green pass è richiesto per l’acceso ai seguenti servizi e attività:
- servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, per il consumo al tavolo in luogo chiuso;
- spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportive;
- musei, altri istituti e luoghi di cultura e mostre;
- piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività svolte al chiuso;
- sagre, fiere, congressi e convegni;
- centri termali, parchi tematici e di divertimento;
- centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, compresi i centri estivi e le relative attività di ristorazione;
- sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;
- concorsi pubblici.
Il green pass è rilasciato, in formato cartaceo o digitale, ai soggetti che soddisfino almeno uno dei seguenti requisiti:
- avvenuta vaccinazione anti-SARS-CoV-2, al termine del prescritto ciclo. In tal caso, la certificazione ha una validità di 9 mesi a far data dal completamento del ciclo. Il predetto certificato è rilasciato anche contestualmente alla somministrazione della prima dose di vaccino (anche qualora questa sia effettuata dopo una precedente infezione da SARS-COV 2) e ha validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale, la quale deve essere indicata nella certificazione all’atto del rilascio. È importante ricordare che la certificazione cessa di avere validità qualora, nel periodo di vigenza della stessa, l’interessato sia identificato come caso accertato positivo al SARS-CoV-2;
- avvenuta guarigione da COVID-19, con contestuale cessazione dell’isolamento prescritto in seguito ad infezione da SARS-CoV-2, disposta in ottemperanza ai criteri stabiliti con le circolari del Ministero della Salute. In questa ipotesi la certificazione ha una validità di 6 mesi a far data dall’avvenuta guarigione. Il green pass non risulta più valido qualora, nel periodo di vigenza semestrale, l’interessato venga identificato come caso accertato positivo al SARS-CoV-2;
- effettuazione di test antigenico rapido o molecolare con esito negativo al virus SARS-CoV-2. La certificazione che attesta tale condizione ha una validità di 48 ore dall’esecuzione del test.
I titolari o gestori dei servizi o attività elencati in precedenza sono tenuti a verificare che l’accesso avvenga nel rispetto di quanto stabilito. La verifica delle certificazioni verdi Covid-19 deve essere effettuata mediante la lettura del QR-code, utilizzando esclusivamente l’applicazione “VerificaC19”, che consente di accertare l’autenticità, la validità e l’integrità della certificazione e di conoscere le generalità dell’intestatario, senza rendere visibili le informazioni che ne hanno determinato l’emissione.
Qualora richiesto dal soggetto tenuto alla verifica, l’intestatario della certificazione dovrà inoltre presentare idoneo documento di identità.
Le disposizioni di cui sopra trovano applicazione non solo nelle zone bianche del territorio, ma anche nelle zone gialle, arancioni e rosse, qualora l’accesso ai citati servizi e attività sia consentito e limitatamente alle condizioni previste per le singole zone.
In caso di violazione delle seguenti disposizioni si applica la sanzione amministrativa di importo compreso tra 400€ e 1.000€. Inoltre, in caso di mancato controllo per l’accesso ai servizi e alle attività di cui sopra, dopo due violazioni, commesse in giornate diverse, si applica, a partire dalla terza violazione, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da uno a dieci giorni.
Il green pass non è richiesto ai soggetti esclusi per età dalla campagna vaccinale e ai soggetti esenti sulla base di idonea certificazione medica.
A seguito dell’introduzione di tali disposizioni in materia di certificazione verde, stanno emergendo alcune questioni in ambito lavorativo. Ci si chiede, infatti, se i lavoratori che risultano impiegati presso un’azienda che eserciti una di quelle attività per le quali è consentito l’accesso solamente per i soggetti in possesso del green pass, devono obbligatoriamente possedere la certificazione ovvero, più in generale, se sia possibile richiedere per il datore di lavoro la vaccinazione (esempio camerieri, baristi, addetti alle attività turistiche e alberghiere, addetti al ricevimento in strutture turistiche, fiere e congressi, personale addetto alle attività sportive, ludiche e ricreative, etc).
Stando a quanto previsto dalla normativa al momento vigente non è possibile per il datore di lavoro richiedere ai propri lavoratori dipendenti il possesso del green pass. Il datore di lavoro non è infatti ammesso a conoscere informazioni cosiddette sensibili, relative allo stato di salute del lavoratore.
Sul punto si è espresso recentemente il Garante della Privacy. In particolare, quest’ultimo ha “avvertito” la Regione Sicilia che i trattamenti dei dati personali effettuati in attuazione dell’Ordinanza emessa dalla medesima Regione del 7 luglio 2021, n. 75, in assenza di interventi correttivi, possono violare le disposizione del Codice della Privacy e conseguentemente del Regolamento europeo in materia di privacy.
L’Ordinanza regionale ha infatti “invitato formalmente” alla vaccinazione tutti i dipendenti pubblici che nell’esercizio delle proprie funzioni si trovino a contatto diretto con il pubblico e, in assenza di vaccinazione, dispone a favore del datore di lavoro la possibilità di assegnazione del lavoratore ad altra diversa mansione che non implichi il contatto diretto del medesimo lavoratore non vaccinato con l’utenza esterna.
In tal senso, i datori di lavoro sarebbero legittimati al trattamento di dati personali dei lavoratori relativi allo stato vaccinale, determinando, quindi, limitazioni di diritti e libertà individuali che possono essere introdotte solo da una norma nazionale di rango primario, previo parere del Garante della Privacy.
Il Garante ritiene che tali trattamenti relativi allo stato vaccinale del personale non previsti dalla legge statale introducano un requisito per lo svolgimento di determinate mansioni su base regionale, generando una disparità di trattamento rispetto al personale che svolge le medesime mansioni sull’intero territorio nazionale.
Pertanto, il coinvolgimento dei datori di lavoro, come previsto dalla citata Ordinanza, in assenza di misure tecniche e organizzative può porsi in contrasto con le norme nazionali che vietano ai datori di lavoro di trattare informazioni relative alla salute, alle scelte individuali e alla vita privata dei propri lavoratori.
Francesco Geria – LaborTre Studio Associato