La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 21350 del 26/07/2021, ha ribadito l’importanza del contraddittorio preventivo nell’ambito dell’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria.
Nella specie, l’avviso di accertamento recuperava a tassazione maggiore imponibile per il 2005, sul presupposto che, ponendo in essere operazioni elusive, due compagini societarie, facenti parte dello stesso Gruppo, avessero posto in essere una serie di contratti al solo fine di trasferire imponibile alla controllante, al fine di consentirle di compensare i propri redditi con perdite pregresse.
Secondo la Commissione Tributaria Regionale, la rapida successione di questi contratti mirava a fare conseguire alla controllante vantaggi fiscali mediante l’uso distorto di strumenti negoziali, in difetto di apprezzabili ragioni economiche che giustificassero l’operazione.
Le società contribuenti ricorrevano infine in Cassazione. Deducevano, in particolare, le ricorrenti che, nel caso in esame, erano state violate le norme a tutela di un effettivo contraddittorio tra Fisco e contribuente. E censuravano quindi la sentenza impugnata, laddove questa non aveva rilevato la nullità dell’accertamento per difetto di motivazione.
L’ufficio non aveva infatti preso posizione sui puntuali chiarimenti, offerti dalle contribuenti nella risposta al questionario fornita in fase amministrativa, circa le ragioni economiche delle operazioni contestate.
Secondo la Suprema Corte il motivo di impugnazione era fondato.
Evidenziano i giudici di legittimità che, in fase amministrativa, in replica al questionario, la società aveva enunciato le valide ragioni economiche sottese alle operazioni contestate, riconducibili alla necessità di rivedere il modello organizzativo adottato in precedenza.
Il successivo avviso di accertamento, che pure dava atto della memoria difensiva dell’interessata, si limitava tuttavia ad affermare che «Dall’analisi effettuata non emergono ulteriori elementi che provino l’assenza di fini elusivi, pertanto l’Ufficio ritiene sussistere i presupposti previsti dall’art. 37-bis dpr 600/1973 in merito ai ricavi non dichiarati constatati dai verbalizzanti».
Rileva dunque la Cassazione che, in tema d’imposte sui redditi, la normativa antielusiva (sia quella all’epoca vigente che quella attuale), prevede un rigoroso procedimento d’instaurazione del contraddittorio, caratterizzato da scansioni predeterminate, in cui, a pena di nullità, l’avviso di accertamento deve essere emanato previa richiesta di chiarimenti al contribuente e deve essere poi specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite.
La Commissione Tributaria Regionale non si era invece attenuta a tale principio di diritto.
I giudici di appello non avevano infatti rilevato la nullità dell’accertamento per difetto di specifica motivazione in relazione alle giustificazioni fornite circa l’esistenza di valide ragioni economiche, o, comunque, circa l’assenza di finalità elusive delle operazioni contestate.
In conclusione e al di là dello specifico caso processuale, giova anche evidenziare che, come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza n. 24823/2015), in tema di tributi non armonizzati (come appunto le imposte dirette), l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali tale obbligo risulti specificamente sancito; mentre, in tema di tributi armonizzati (Iva in primis), avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio preventivo comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.
Giovambattista Palumbo