Imprese familiari escluse dall’IRAP: il caso delle aziende coniugali

A partire dall’esercizio in corso al 1° gennaio 2022, la legge di bilancio per il 2022 dispone l’esclusione dall’IRAP per le imprese individuali nonché per i lavoratori autonomi esercenti arti e professioni, di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. 446/1997 (art. 1, comma 8, della L. n. 234/2021). Nel corso di Telefisco 2022, l’Agenzia delle Entrate ha formulato un approfondimento per quanto concerne le imprese familiari, escludendole dal novero dei soggetti obbligati all’IRAP in ragione della natura di impresa individuale e non collettiva.

Nell’ambito della disciplina giuridica è pacifica la configurazione dell’impresa familiare nell’ambito delle imprese individuali in quanto è imprenditore unicamente il titolare. Tale posizione è in linea anche con quanto affermato dalla stessa Agenzia delle Entrate in precedenti interpelli, tra cui il 195 del 18 marzo 2021.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate non era del tutto scontata, in quanto il trattamento dei redditi delle imprese familiari si trova collocato nell’ambito dell’articolo 5, comma 4, del TUIR (rubricato “redditi prodotti in forma associata”). Ciò non significa, però, che nel caso di impresa familiare si tratti di reddito prodotto in forma associata, ma solamente che si applica a tali redditi il principio di trasparenza, in forza del quale il reddito prodotto è imputato a ciascun avente diritto indipendentemente dall’effettiva percezione. Resta indiscussa la qualifica individuale anche ai fini fiscali dell’impresa familiare, ex articolo 230-bis del codice civile. Altra circostanza pragmatica che depone in favore dell’individualità dell’impresa familiare concerne la circostanza che il reddito dell’impresa è dichiarato nel suo ammontare complessivo dall’imprenditore, che è l’unico titolare dell’impresa, il quale può imputare parte del suo reddito ai familiari per un ammontare non superiore al 49 per cento.

L’impresa familiare è disciplina dall’art. 230bis del codice civile e si qualifica secondo le seguenti caratteristiche:

  • salvo che sia configurabile un diverso rapporto, si tratta di quelle situazioni in cui il familiare presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nell’impresa familiare;
  • si intendono come familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo;
  • il familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato;
  • le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa.

Argomentando circa la natura individuale dell’impresa familiare, l’Agenzia delle Entrate osserva che la partecipazione del familiare all’impresa ha una rilevanza meramente interna nei rapporti tra l’imprenditore ed i suoi familiari in quanto il fondamento di tale istituto va ravvisato nella solidarietà che deve risiedere nei rapporti familiari e nell’esigenza di tutela e valorizzazione del lavoro prestato dai componenti della famiglia che hanno dato il loro contributo all’impresa.

La problematica circa la natura individuale dell’impresa si pone anche rispetto alle aziende coniugali di cui all’art. 177, lett. c) e d) del codice civile, rispetto alle quali l’Amministrazione finanziaria non si è espressa riguardo all’esclusione dall’IRAP. Si tratta di aziende costituite e gestite da entrambi i coniugi o dei frutti e incrementi maturati durante il matrimonio riconducibili al regime patrimoniale di comunione dei beni dei coniugi. È possibile sostenere anche in questo caso la natura individuale dell’azienda coniugale soprattutto se l’azienda è stata costituita dopo il matrimonio ma viene gestita da uno solo dei coniugi, oppure è appartenuta prima del matrimonio a un solo coniuge e successivamente viene gestita da entrambi.

Per poter sostenere l’applicabilità dell’IRAP sarebbe necessario equiparare le aziende coniugali alle società di fatto, ipotesi che potrebbe trovare un sostegno in quei casi in cui l’attività è esercitata in società fra i coniugi perché cointestatari della licenza ovvero coniugi entrambi imprenditori.

Su questi ultimi aspetti sarebbe auspicabile un intervento di chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN