Gli interpelli all’Agenzia delle Entrate potrebbero diventare a pagamento. A prevederlo è la bozza del disegno di legge delega di riforma fiscale.
Che il numero degli interpelli rivolti all’Agenzia delle Entrate stesse diventando un problema lo si era percepito dalle parole del direttore dell’ente che, in occasione della presentazione dei risultati avvenuta il 9 marzo scorso alla Camera, ha detto che “nel 2022 sono stati più di 17 mila i documenti predisposti dall’Agenzia in risposta a istanze di interpello, per una media di quasi 50 al giorno e 1.500 al mese”. Numeri importanti che hanno indotto a pensare che una riforma che li subordini al pagamento di un contributo economico possa snellire il lavoro dell’amministrazione e responsabilizzare i potenziali contribuenti istanti.
La possibilità di inviare istanze di interpello, prevista dallo Statuto del Contribuente, rappresenta una procedura finalizzata a conoscere preventivamente la posizione dell’Agenzia delle Entrate su determinate operazioni o sulla portata di disposizioni tributarie per le quali sussistono dubbi interpretativi.
Nel nostro ordinamento esistono le seguenti tipologie di interpello:
- interpello ordinario, che consente a ogni contribuente di chiedere un parere in ordine all’ applicazione delle disposizioni tributarie di incerta interpretazione riguardo un caso concreto e personale, nonché di chiedere chiarimenti in ordine alla corretta qualificazione di fattispecie, sempre che ricorra obiettiva incertezza;
- interpello probatorio, che consente al contribuente di chiedere un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni o alla idoneità degli elementi di prova chiesti dalla legge per accedere a determinati regimi fiscali nei casi espressamente previsti, quali l’interpello relativo a partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari (113 TUIR), le istanze presentate dalle società “non operative” (articolo 30 della legge 724 del 1994) e le istanze previste ai fini della spettanza del beneficio ACE (articolo 1, comma 8, DL 201 del 2011);
- interpello anti-abuso, che consente di acquisire un parere relativo alla abusività di un’operazione non più solo ai fini delle imposte sui redditi, ma per qualsiasi settore impositivo;
- interpello disapplicativo, che consente di ottenere la disapplicazione di norme che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti di imposta, se viene fornita la dimostrazione che detti effetti elusivi non potevano verificarsi; è l’unica tipologia di interpello obbligatorio;
- interpello sui nuovi investimenti, che consente agli investitori, italiani o stranieri, di chiedere un parere circa il trattamento tributario applicabile a importanti investimenti (di valore non inferiore a 20 milioni di euro e con rilevanti e durature ricadute occupazionali) effettuati nel territorio dello Stato. Per le istanze presentate dal 1° gennaio 2023, anche se relative a investimenti precedenti a tale data, l’ammontare minimo degli investimenti non dovrà essere inferiore a 15 milioni di euro (art. 8, commi 6 e 7, Legge n. 130/2022).
L’art. 4 del disegno di legge delega di riforma fiscale intende riformare lo statuto dei diritti del contribuente a partire proprio dalla normativa che riguarda gli interpelli. L’obiettivo che si pone è quello di razionalizzarne la disciplina, al fine di ridurne l’abuso da parte dei contribuenti tramite il rafforzamento del divieto di presentazione, riservandone l’ammissibilità alle sole questioni che non trovano soluzione in documenti interpretativi già emanati. Ma non solo, la bozza della riforma prevede la possibilità di presentare le istanze (da parte delle persone fisiche e dei contribuenti di minori dimensioni) solo dopo aver verificato l’impossibilità di ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida e il versamento di un contributo economico graduato in relazione alla tipologia del contribuente o al valore della questione posta.
L’accusa che arriva da più parti è che, pur comprendendo l’esigenza di contenere l’elevato numero di interpelli che giungono all’attenzione dell’amministrazione finanziaria, introdurre un ticket a pagamento va a snaturare completamente il senso stesso dello strumento.
Non resta che attendere che la modifica normativa acquisisca ufficialità.
Giovanni Fanni – Centro Studi CGN