Il 16 ottobre 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo di attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche, rimodulando le aliquote e gli scaglioni di reddito da applicarsi per la determinazione dell’Irpef dovuta nel 2024.
Come noto, l’Irpef è un’imposta progressiva che colpisce i redditi delle persone fisiche. È organizzata tenendo conto di scaglioni di reddito con aliquote progressive, in modo da rispettare il principio della progressività sancito dall’art. 53 della Costituzione Italiana. I cittadini che guadagnano di più pagano imposte in misura percentuale maggiore rispetto a coloro che guadagnano di meno.
Tale principio negli anni è stato spesso tradito con l’introduzione dei più svariati regimi sostitutivi, che hanno consentito ad una grossa platea di contribuenti di corrispondere allo Stato imposte in misura fissa piuttosto che in misura proporzionale al reddito conseguito. Questo in violazione del criterio di equità orizzontale, con servizi pubblici garantiti in misura identica a chi usufruisce di tassazioni piatte rispetto a chi corrisponde allo Stato percentuali maggiori del proprio reddito in imposte progressive.
Ma se in tanti sono riusciti a trovare una via d’uscita dalla progressività dell’imposta, la fetta più grossa della base imponibile tassabile prodotta dagli italiani è ancora costituita da lavoratori dipendenti e pensionati obbligatoriamente assoggettati agli scaglioni Irpef progressivi.
Nel 2023 gli scaglioni Irpef sono i seguenti:
- 23% (fino a 15.000 euro);
- 25% (da 15.001 a 28.000 euro);
- 35% (da 28.001 a 55.000 euro);
- 43% (oltre 55.000 euro).
Nel 2024, secondo quanto previsto dal decreto legislativo di attuazione della revisione dell’imposta sulle persone fisiche, gli scaglioni saranno i seguenti:
- 23% (fino a 28.000 euro);
- 35% (da 28.001 a 55.000 euro);
- 43% (oltre 55.000 euro).
Una misura che dovrebbe generare un piccolo risparmio ai contribuenti in virtù dell’accorpamento dei primi due scaglioni in uno solo, ma che con molta probabilità non abbasserà il livello di malcontento generatosi negli anni per via delle iniquità sopra esposte. Il velenoso dibattito creatosi tra coloro che versano le imposte alla fonte in misura proporzionale al reddito prodotto e coloro che, al contrario, si avvantaggiano di flat tax e imposte sostitutive sui redditi non è destinato a placarsi con una semplice riduzione delle aliquote.
Giovanni Fanni – Centro Studi CGN