Accertamenti bancari analitici e presunzioni: ennesima conferma dalla Cassazione

Uno dei punti cardine in materia di accertamento bancario è l’inversione dell’onere della prova. Quando l’amministrazione finanziaria individua movimenti bancari che sembrano non giustificati rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, è il contribuente che deve fornire spiegazioni dettagliate al fisco.

Non è sufficiente fornire una giustificazione generica basata semplicemente sulle causali contabili, ma occorre dimostrare in modo analitico la riferibilità o l’estraneità di ogni singola operazione alla propria attività d’impresa.

Questo aspetto rende gli accertamenti bancari particolarmente gravosi per chi gestisce molteplici conti correnti o effettua numerose transazioni, poiché ogni singolo accredito o addebito deve essere tracciato e documentato in modo preciso e analitico.

Recentemente, con l’ordinanza n. 24998 dello scorso 17 settembre 2024, è arrivata l’ennesima conferma da parte della Corte di Cassazione che ha confermato l’importanza delle presunzioni fiscali derivanti dalle indagini bancarie nei confronti dei contribuenti e l’onere della prova che è sempre in capo al contribuente per giustificare i movimenti sui conti correnti.

In seguito ad un accertamento fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente, riferito all’anno d’imposta 2010, veniva accertato un maggiore reddito imponibile ai fini IRPEF e IVA. L’accertamento fiscale si basava su operazioni finanziarie ingiustificate, come prelevamenti e versamenti, sui conti correnti del contribuente e dei suoi familiari.

La Commissione Tributaria Regionale della Puglia aveva ridotto in misura parziale l’importo dell’accertamento, escludendo la rilevanza dei prelevamenti ingiustificati in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 ma confermando l’importanza dei versamenti non giustificati.

La Suprema Corte, fa riferimento all’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973, in materia di accertamenti bancari e presunzioni fiscali che stabilisce che le risultanze delle indagini sui conti correnti possono essere utilizzate dall’Amministrazione finanziaria come base per la rettifica del reddito; inoltre, una volta dimostrata la pertinenza di tali conti all’attività imprenditoriale, è il contribuente a dover fornire la prova che le operazioni finanziarie non si riferiscono all’attività d’impresa (principio confermato dalla giurisprudenza della cassazione con la sentenza n. 21420/2012 e con la sentenza n. 428/2015).

Viene confermato anche che le presunzioni derivanti dall’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 si applicano non solo ai conti del contribuente ma anche a quelli dei familiari stretti, quando sussistono legami tali da rendere plausibile il collegamento con l’attività economica. In buona sostanza viene esteso il principio della presunzione fiscale ai conti correnti intestati ai familiari.

E’ quindi il contribuente che deve dimostrare in modo analitico l’eventuale riferibilità o estraneità di ogni singola movimentazione sul conto corrente alla sua attività d’impresa e non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali di tutte le somme che affluiscono sul proprio conto corrente.

Per quanto riguarda invece la rilevanza fiscale dei prelievi e dei versamenti di denaro, la Corte Costituzionale con la sentenza 228/2014 ha dichiarato incostituzionale la presunzione secondo cui i prelievi bancari, in mancanza di giustificazione, rappresentano investimenti nell’attività d’impresa per i lavoratori autonomi.

Per gli imprenditori invece, tali prelievi continuano a essere presuntivamente considerati utili all’attività imprenditoriale. I versamenti sono invece sempre rilevanti per tutti i contribuenti, a meno che non venga dimostrato il contrario.

Autore: Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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