“Si raccomanda di tenere in debita considerazione la profonda trasformazione sociale e i nuovi stili di vita che hanno ampliato lo scenario dei beni e dei servizi indicativi di elevata agiatezza, rispetto a quelli di cui al D.M. 10 settembre 1992 valorizzabili con il cosiddetto redditometro.
I risultati cui consente di pervenire quest’ultimo strumento vanno pertanto confermati ed implementati anche mediante ulteriori elementi idonei a rappresentare compiutamente la complessiva posizione reddituale del nucleo familiare dei soggetti indagati”: era il 9 aprile 2009 quando l’Agenzia delle Entrate diramava la Circolare n. 13/E, che contiene letteralmente i passaggi riportati.
Prima di soffermarsi sulla parte “profetica” della circolare richiamata, si concentra appena l’attenzione su due aspetti ugualmente significativi:
- l’Agenzia delle Entrate conferma ancora una volta la necessità che l’accertamento sintetico non si focalizzi sulla persona del contribuente ma estenda lo sguardo al suo nucleo familiare;
- l’evocata “implementazione” di una ricostruzione presuntiva precariamente poggiante sulla interrelazione tra le voci di spesa tipicizzate dal D.M. 10 settembre 1992 non è ipotizzabile.
In queste brevi note interessa porre in evidenza un altro aspetto.
La Circolare, come detto, reca la data del 9 aprile 2009.
Di lì a poco sarebbe intervenuto anche il Legislatore: il 31 maggio 2010 con l’articolo 22 del D.L. 78 è stato riscritto l’articolo 38 D.P.R. 600/1973, commi 4° e successivi, disponendo la radicale riforma dell’accertamento sintetico, limitandone tuttavia l’impatto ai periodi d’imposta 2009 e successivi.
La finalità della riforma è descritta nel 1° comma dell’articolo 22: “al fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio – economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio …”.
Balza all’occhio che le valutazioni del Legislatore e dell’Agenzia delle Entrate sono univoche e convergenti: il “vecchio” redditometro mostra i segni del tempo e non riesce più a misurare con sufficiente attendibilità la relazione tra la casistica (chiusa e tassativa) delle spese ed il reddito complessivo di cui esse sono indiretta manifestazione poiché il contesto socio – economico è mutato nel corso dell’ultimo decennio (con una qualche approssimazione, dal 2000 in poi) e vi è stata una profonda trasformazione sociale.
Siffatte constatazioni, che peraltro rientrano nelle nozioni di comune esperienza, trovano precisi e concreti riscontri, ufficiali ed imparziali: si tratta delle annuali rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica sui consumi delle famiglie italiane.
Il più recente documento è stato pubblicato il 5 luglio 2011 e si riferisce ai consumi delle famiglie nell’anno 2010: per gli anni precedenti, ed in particolare per gli anni 2007 e 2008, si potrà far riferimento all’analogo documento pubblicato il 14 luglio 2009 (si tratta di documenti facilmente consultabili e prelevabili dal sito internet dell’ISTAT).
La lettura apre prospettive valutative ed interpretative interessanti circa l’impiego delle spese quale base di calcolo del reddito sintetico, soprattutto con riferimento ai periodi d’imposta 2007 e 2008, sottoposti alle “vecchie” tabelle redditometriche (per quelle nuove bisognerà attendere i decreti più volte annunciati ma non ancora pubblicati).
Anche a voler soprassedere ai criteri con i quali il D.M. 10 settembre 1992 è giunto a determinare la voce “importo” delle tabelle redditometriche (si tratta, com’è noto, della voce che esprime la media dei costi ordinariamente necessari per ottenere la disponibilità di quel dato bene o servizio: tot euro per ogni mq. di abitazione, tot euro per ogni cavallo fiscale del motore dell’autoveicolo, e così via), il confronto tra la voce “coefficiente” del D.M. e le rilevazioni ufficiali ISTAT attesta come vera ed inconfutabile l’irreversibile obsolescenza del “vecchio” redditometro e la sua totale incapacità di stabilire con un qualche grado di attendibilità e verosimiglianza il reddito complessivo di cui le spese sono indiretta espressione.
Bastino un paio di osservazioni:
- l’ISTAT rileva che nell’anno 2007 le famiglie italiane hanno destinato alla soddisfazione del bisogno abitativo (voci abitazione, combustibili ed energia elettrica, arredamenti, elettrodomestici e servizi per la casa) il 37,10% della spesa complessiva. Tale percentuale aumenta al 37,60% nell’anno 2008. Si tratta di dati medi, che prescindono dalla fascia di età e dal numero di componenti del nucleo familiare, come pure trascurano l’ubicazione geografica (il dato relativo al nord Italia è pari rispettivamente al 38,30% ed al 38,80% nel 2007 e nel 2008). Essendo tale la distribuzione del reddito in relazione alle voci di spesa, quale senso conserva per gli anni 2007 e 2008 il coefficiente moltiplicatore 4 o 5 stabilito dal D.M. 10 settembre 1992 (a seconda della superficie dell’immobile), che presuppone che al bisogno abitativo il contribuente italiano destini una percentuale oscillante tra il 20% ed il 25% del suo reddito?
- l’ISTAT, dopo aver osservato che tra le famiglie che vivono in abitazioni di proprietà (il 75% del totale nell’anno 2008 contro il 73,7% del 2007), il 16,3% paga un mutuo, afferma che questa voce di bilancio non rappresenta una spesa, configurandosi piuttosto come un investimento. Appare un’osservazione scontata e quasi banale, tanto rientra tra le nozioni di comune esperienza: tuttavia dovrà essere ricordato che nella ricostruzione redditometrica l’importo delle rate di mutuo pagate nell’anno viene assunta proprio a titolo di spesa e sottoposta ad un moltiplicatore (lo stesso previsto per l’abitazione in relazione alla sua superficie ridotto di 1 unità). Col risultato che il reddito presunto viene determinato in misura pari a 3 o 4 volte l’importo delle rate pagate (oltre a quanto risultante dall’applicazione degli automatismi di calcolo agli altri beni e servizi), determinando accertamenti abnormi e del tutto ingiustificati.
Come si vede, le convergenti valutazioni del Legislatore e dell’Agenzia delle Entrate circa la necessità di riformare l’accertamento sintetico redditometrico in conseguenza delle profonde trasformazioni sociali, del mutato contesto socio-economico, dei nuovi stili di vita, sono assolutamente condivisibili e necessarie per restituire a tale metodologia accertativa un concreto aggancio con la realtà che si propone di misurare.
Non è viceversa condivisibile lo spartiacque temporale rigido imposto dal Legislatore: il nuovo redditometro, quando vedrà finalmente la luce, ed auspicando che sia immune dai vizi del vecchio, si applicherà solo agli anni 2009 e successivi, mentre gli anni 2007 e 2008 continuano ad essere assoggettati al vecchio, obsoleto e del tutto inattendibile D.M. 10 settembre 1992.
Con l’aggravante che la giurisprudenza sedimentatasi nel corso degli ultimi decenni pone a carico del contribuente l’onere della prova contraria.
Autore: Mauro Comin – Centro Studi CGN