I contribuenti che intendono effettuare non solo cessioni di beni intra UE, ma anche prestazioni di servizi con altri Paesi dovranno chiedere ed ottenere l’autorizzazione dell’Agenzia delle entrate. La richiesta deve essere manifestata in sede di presentazione (o trasmissione telematica) della dichiarazione di inizio attività di cui all’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972.
Subito dopo l’approvazione dei decreti di attuazione, emanati dall’Agenzia delle Entrate il 29 dicembre scorso e che hanno reso possibile la concreta attuazione della predetta misura (art. 27 del D.L. n. 78/2010), sono sorti diversi dubbi circa l’ambito di applicazione del regime di autorizzazione. Infatti, non è stato agevole comprendere quali operazioni dovessero essere assoggettate alla misura antifronde in rassegna.
Le operazioni da autorizzare
Le perplessità trovavano origine proprio secondo un’interpretazione di tipo letterale. Secondo quanto previsto dall’art. 27 del citato decreto – legge l’autorizzazione riguarda le operazioni di cui al Titolo II, Capo II del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.
Le operazioni cui fa riferimento la norma sono sia gli acquisti, che le cessioni, ma anche le operazioni di deposito Iva di cui all’art. 50 – bis e le operazioni triangolari nazionali di cui all’art. 58 del medesimo D.L. n. 331/1993 (per queste ultime operazioni non tutta la dottrina è d’accordo).
Risulta dunque evidente, considerato il richiamo specifico delle operazioni di cui al D.L. n. 331/1993, che le prestazioni di servizi rese tra operatori Intra UE, almeno sulla base di un’interpretazione rigorosamente letterale, dovrebbero rimanere escluse dal nuovo regime di autorizzazione.
In conseguenza delle mutate regole relative alla territorialità dei servizi, contenute esclusivamente nell’art. 7 – ter e seguenti, il D.Lgs n. 18/2010 ha abrogato le disposizioni relative ai servizi intracomunitari contenute nel D.L. n. 331/1993. In particolare si tratta dell’art. 40, commi 4 – bis, 5, 6, 7 e 9 del decreto legge citato. Con effetto dal 1° gennaio 2010 le medesime operazioni (lavorazioni, carico e scarico merci, etc) sono considerate fuori campo Iva. Conseguentemente i corrispettivi percepiti non sono più rilevanti sia ai fini della formazione dello status di esportatore abituale, sia ai fini della maturazione del plafond. Fino al 31 dicembre del 2009 le predette operazioni, essendo riconducibili nell’ambito delle operazioni comunitarie facevano sorgere, in capo al prestatore, l’obbligo di emissione della fattura in regime di non imponibilità. Il committente ricevendo il predetto documento effettuava la relativa integrazione indicando la base imponibile, l’aliquota e l’Iva al fine di assolvere il tributo nello Stato in cui il servizio era destinato.
Per effetto del mutamento della disciplina le predette prestazioni, anche se rese tra operatori comunitari, non sono più prestazioni comunitarie ai sensi del D.L. n. 331/1993 e la circostanza ha indotto gli operatori a dubitare sull’applicabilità del regime di autorizzazione.
ESEMPIO
- Un avvocato italiano effettua una consulenza legale nei confronti di un’impresa inglese (stabilita in Gran Bretagna);
- si applica la regola della territorialità di cui all’art. 7 – ter del D.P.R. n. 633/1972: la prestazione si considera effettuata nel luogo in cui risulta stabilito il committente soggetto passivo d’imposta;
- la prestazione è irrilevante (in Italia), ma si considera effettuata in Inghilterra e quindi l’Iva deve essere assolta nel Paese ove risulta stabilita l’impresa inglese;
In sostanza l’operazione è fuori campo Iva per carenza del presupposto territoriale e la circostanza portava a ritenere gli interpreti che le prestazioni di servizi in discorso fossero esclusi dal nuovo adempimento.
Nella terminologia comune gli operatori hanno continuato ad attribuire alle prestazioni in discorso la qualifica di operazioni intracomunitarie, ma a rigore l’indicazione è imprecisa. Le operazioni intracomunitarie sono solo quelle la cui definizione e disciplina trova origine nel D.L. n. 331/1993. Invece le prestazioni di servizi in rassegna si caratterizzano semplicemente perché il prestatore ed il committente sono soggetti stabiliti in Paesi comunitari.
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
Non è difficile osservare che, indipendentemente dalla qualificazione attribuibile alle predette prestazioni, come il meccanismo di applicazione del tributo sia praticamente analogo a quello previsto per le operazioni intracomunitarie relative alla cessione e all’acquisto di beni.
L’imposta sul valore aggiunto deve essere assolta nel Paese in cui il servizio è destinato ad essere immesso in consumo, cioè nel luogo in cui risulta stabilito il committente. Analogamente, per le cessioni di beni, l’Iva deve essere assolta nel luogo in cui il cessionario risulta stabilito e la merce oggetto di vendita arriva a destinazione. Il meccanismo è sempre quello dell’inversione contabile e allo stesso modo anche le prestazioni di servizi c.d. generiche di cui all’art. 7 – ter del Decreto Iva sono sottoposte al monitoraggio realizzato per effetto dell’obbligo di presentazione degli elenchi Intrastat relativi ai servizi.
La rilevanza, ai fini della territorialità, del luogo in cui risulta stabilito il committente riguarda le sole prestazioni in cui sia il prestatore che il committente sono in possesso della soggettività passiva ai fini Iva. Pertanto, come previsto per le cessioni di beni, il fornitore ha l’onere di accertare il possesso e la validità del numero identificativo Iva del committente. Il numero di partita Iva deve quindi essere presente nella banca dati VIES e rappresenta un requisito indispensabile per considerare le predette operazioni rilevanti, sotto il profilo territoriale, nel luogo in cui risulta stabilito il committente.
Qualora il committente comunitario non sia ancora in possesso del numero di identificazione, dovrebbero valere le indicazioni fornite dalla circolare del Ministero delle finanze n. 13/E del 23 febbraio 1994 al paragrafo 9.3, secondo la quale è necessario che:
- l’acquirente comunitario fornisca la prova di averne fatto richiesta;
- il cedente italiano provveda ad integrare la fattura relativa all’operazione nel momento in cui l’acquirente ottiene il numero identificativo ai fini Iva.
Nel caso in cui il committente non fornisca tale prova, l’operazione dovrà essere considerata effettuata, sotto il profilo territoriale, in Italia. In pratica l’operazione dovrà essere trattata al pari di una qualsiasi operazione “interna” soggetta ad Iva in Italia.
In considerazione di un sistema che prevede una serie di obblighi del tutto coincidenti a quelli previsti per le cessioni (ed acquisti di beni) l’Agenzia delle entrate ha chiarito come il regime che ha reso obbligatoria l’autorizzazione trovi applicazione anche alle predette prestazioni. Si tratta delle prestazioni di servizi generiche previste dall’art. 7 – ter del Decreto Iva qualora i due operatori, prestatore e committente siano comunitari.
L’AMBITO APPLICATIVO DEL REGIME DI AUTORIZZAZIONE | |
Beni |
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Prestazioni di servizi |
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Il regime di autorizzazione riguarda, oltre le cessioni e gli acquisti di beni, solo le prestazioni di servizi generiche di cui all’art. 7 – ter del decreto Iva. Pertanto ove una prestazione fosse rilevante territorialmente in Italia per effetto di un’altra disposizione il regime di autorizzazione non dovrà essere applicato.
ESEMPIO
- Un ingegnere italiano è incaricato da una ditta tedesca di effettuare una perizia su un immobile sito in Germania
- In considerazione del luogo in cui è ubicato l’immobile (in Germania) la prestazione si considera effettuata in regime di extraterritorialità;
- la prestazione è soggetta ad Iva tedesca ai sensi dell’art. 7 – quater del D.P.R. n. 633/1972.
In questo caso, non trovando applicazione l’art. 7 – ter del Decreto Iva la prestazione non è soggetta al regime di autorizzazione previsto dall’art. 27 del D.L. n. 78/2010.
Autore: Nicola Forte – Centro Studi CGN