La disciplina che regola il rapporto di lavoro a progetto è stata, di recente, modificata in modo significativo.
In merito, la legge n. 92 del 28 giugno 2012, recante Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, si prefigge l’obiettivo di intervenire su forme contrattuali che si sono non di rado prestate, per le loro caratteristiche, ad un uso distorto in funzione dissimulatoria di rapporti di lavoro subordinato.
Tuttavia è bene ricordare che, in base al disposto dell’art. 1, comma 25, della legge n. 92/2012, tali modifiche risultano applicabili, ai soli contratti di collaborazione stipulati dopo la sua entrata in vigore.
Una delle novità più importanti è costituita dal fatto che la riforma elimina dall’art. 61 del D.Lgs. n. 276 del 10 settembre 2003 qualsiasi riferimento al concetto di “programma di lavoro o fase di esso”, con la conseguenza che i suddetti contratti dovranno essere riconducibili esclusivamente ad uno o più progetti specifici.
In merito al progetto e al programma di lavoro, è opportuno segnalare che, se da un lato, la giurisprudenza prevalente aveva ritenuto non necessario discernere la nozione di “progetto” da quella di “programma di lavoro”, il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 1/2004, aveva definito il progetto come “un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale” e il programma come un’attività caratterizzata dalla “produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali”.
L’anomalia corretta dalla riforma del lavoro era data dal fatto che, il “programma di lavoro”, potendo includere qualsiasi risultato, appariva più flessibile rispetto al “progetto”. Al riguardo, infatti, la flessibilità del programma di lavoro era talmente ampia da ammettere la stipulazione di contratti con durata meramente determinabile in funzione dell’interesse del committente.
La riforma introdotta dalla legge n. 92/2012, apporta, quindi, le seguenti modifiche alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003:
- definizione più stringente del progetto, che deve possedere i requisiti di determinatezza di cui all’articolo 1346 del codice civile, deve essere funzionalmente collegato al risultato finale da raggiungere e non può essere identificato con l’obiettivo aziendale nel suo complesso;
- eliminazione di qualsiasi riferimento al “programma di lavoro o fasi di esso”;
- limitazione della facoltà del datore di lavoro di recedere dal contratto prima della realizzazione del progetto. Il recesso può, infatti, essere esercitato nelle sole ipotesi di giusta causa o di inidoneità professionale del collaboratore, che renda impossibile la realizzazione del progetto;
- presunzione relativa circa il carattere subordinato del rapporto di lavoro, qualora l’attività esercitata dal collaboratore sia analoga a quella prestata dai lavoratori dipendenti dall’impresa committente, salve le prestazioni di elevata professionalità;
- interpretazione dell’articolo 69, comma 1, del D.Lgs. n. 276 del 2003 nel senso che la mancata individuazione del progetto determina ipso facto la trasformazione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato.
Sotto il profilo sanzionatorio, quindi, l’uso non corretto del contratto di collaborazione è perseguito con il potenziamento delle presunzioni di subordinazione.
In particolare, in materia di subordinazione viene introdotta una presunzione suscettibile di essere superata mediante prova contraria, sin dalla costituzione del rapporto di lavoro nel caso in cui le attività del collaboratore siano svolte con modalità analoghe a quella dei dipendenti del committente. In altri termini la presunzione di subordinazione opera salvo che il committente riesca a fornire la prova contraria del carattere autonomo della prestazione o, comunque, che si tratti di prestazioni di elevata professionalità (che potranno essere individuate dai contratti collettivi).