I canoni di locazione non congrui rispetto al reddito dichiarato da un professionista non sono deducibili secondo il principio di cassa, perché trattasi di un’operazione “antieconomica” che legittima il recupero delle maggiori imposte da parte dell’Ufficio finanziario. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22579, pubblicata lo scorso 11 dicembre 2012. Analizziamo brevemente i fatti.
Un professionista (avvocato), in virtù del principio di cassa, aveva dedotto i canoni di locazione del suo studio professionale in un’unica soluzione, versando più di 150 mila euro (corrispondenti a 5 anni di canoni di affitto), ed in largo anticipo rispetto alla scadenza del contratto di locazione, che prevedeva invece un versamento trimestrale.
Così l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione le maggiori imposte disconoscendo queste spese nell’anno in cui erano state dichiarate. Il professionista impugna l’accertamento.
In fase di contenzioso tributario, sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Commissione Tributaria Regionale dichiaravano infondata l’impugnazione proposta dal professionista.
La Corte di Cassazione pur riconoscendo almeno in parte il cosiddetto principio di cassa che regola la determinazione del reddito professionale, sia per i componenti negativi che per quelli positivi, respinge comunque le ragioni del professionista.
I giudici della Suprema Corte pongono l’accento su un diverso aspetto della controversa questione, affermando che “il professionista non può, a suo piacimento, imputare a titolo di costi dell’attività professionale oneri che appaiono incoerenti rispetto allo strumento negoziale utilizzato per avere a disposizione un bene strumentale all’esercizio professionale ed ipotetici rispetto all’esercizio dell’attività che andrà a svolgersi in futuro”.
Con la suddetta sentenza, la Corte ha inoltre osservato che, al di là del tenore delle disposizioni di legge che attribuiscono al professionista la possibilità di imputare i costi secondo il criterio di cassa e dunque di dedurli, l’Amministrazione Finanziaria può sempre compiere una verifica sull’inerenza dei costi dell’attività esercitata e, addirittura sulla “congruità” dei costi medesimi rispetto al volume d’affari prodotto dal contribuente, ove ci si trovi innanzi a operazioni stravaganti ed antieconomiche.
In questa interessante motivazione, si evince che, l’attività dei professionisti e in particolare quella dell’avvocato viene paragonata a quella d’impresa, mutuando dalla giurisprudenza della Corte di giustizia alcuni concetti sulla concorrenza. Questo ha permesso ai giudici di legittimità di estendere anche ai professionisti alcuni principi sulla deducibilità dei costi sanciti nel nostro ordinamento per le imprese.
In conclusione, secondo questa sentenza, i professionisti, così come le imprese, non possono imputare all’esercizio corrente costi riferiti ad anni successivi.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN