In linea con l’evoluzione normativa in ambito civilistico e commerciale, l’ordinamento tributario prevede una nuova procedura che introduce una fase amministrativa prima del processo tributario vero e proprio. Si tratta del reclamo e della mediazione, due istituti tra loro autonomi, anche se spesso impropriamente denominati con l’unica accezione di “mediazione tributaria”. Cerchiamo di dare risposta ad alcuni dubbi interpretativi e problematiche applicative.
La mediazione tributaria è uno strumento riconducibile tra quelli deflattivi del contenzioso per la definizione delle controversie di modesto importo, con il quale si prevede la presentazione obbligatoria di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso.
L’istanza di reclamo, da notificare sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che il contribuente intende portare all’attenzione della Commissione Tributaria Provinciale nella eventuale fase giurisdizionale:
- è obbligatoria, costituendo condizione di procedibilità del ricorso giurisdizionale,
- contiene la richiesta di annullamento totale o parziale dell’atto.
La mediazione è una proposta che il contribuente, in via facoltativa, può inserire nell’istanza.
L’istituto del reclamo/mediazione pone diverse problematiche che potrebbero mettere il contribuente e il suo difensore in grave imbarazzo.
La prima questione riguarda la reclamabilità di un atto. Il Legislatore ha disciplinato la materia prevedendo con una certa nettezza se un atto è reclamabile o meno, come se fosse una caratteristica intrinseca, non rendendosi conto che potrebbero esserci dei provvedimenti dove è lecito nutrire dei dubbi (per esempio in materia degli atti di valore indeterminabile, per quanto concerne il diniego tacito o espresso dei rimborsi oppure per quanto concerne la determinazione del valore di una lite laddove vi è stata una riduzione della pretesa, una sospensione o quando ci si trovi di fronte a rettifica di una perdita.).
Quale strategia adottare nel caso in cui il contribuente nutra dubbi sulla reclamabilità di un atto? È senza dubbio una situazione molto delicata in quanto l’omessa presentazione del reclamo comporta la grave sanzione dell’inammissibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo. L’inammissibilità del ricorso rende l’atto definitivo ed è rilevabile anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.
Il contribuente dovrà, quindi, prestare massima attenzione sulla condotta da tenere, in quanto i termini di costituzione in giudizio si computano nei modi ordinari previsti dall’art. 22 del medesimo decreto. Pertanto:
- se egli opta per la reclamabilità dell’atto, notifica il reclamo e instaura la fase di mediazione con gli uffici. Se l’atto non rientra tra quelli oggetto del reclamo, il rischio sarà che il contribuente si trovi a non poter rispettare i trenta giorni per la costituzione in giudizio, con conseguente inammissibilità del ricorso;
- se egli opta per la non reclamabilità dell’atto, notifica direttamente il ricorso esponendosi al pericolo dell’inammissibilità, ove il giudice fosse di diverso avviso.
- Una possibilità sarebbe costituita dal fatto che le Commissioni tributarie, di fronte alle ipotesi di costituzione in giudizio tardiva derivante dall’errata interpretazione delle norme che disciplinano il neointrodotto reclamo, possano riconoscere la rimessione in termini ex art. 153 comma. 2 c.p.c.
- Un’altra possibile strategia sarebbe quella di procedere, contestualmente, con la notifica:
- del reclamo alla Direzione Provinciale, come prevede l’art. 17-bis del DLgs. 546/92;
- del ricorso sempre alla Direzione Provinciale, provvedendo alla costituzione in giudizio.
Così procedendo:
- in presenza di atto reclamabile, il ricorso viene dichiarato improcedibile. In tal caso il contribuente procederà con l’azione di reclamo per poi, in caso di esito negativo, instaurare il giudizio;
- in presenza di atto non reclamabile, il ricorso è stato proposto e il processo seguirà il suo corso, senza pericolo di essere giudicato inammissibile, in quanto la costituzione in giudizio è avvenuta nei termini.
Questa strategia potrebbe trovare un limite teorico nel fatto che l’Ufficio possa dichiarare l’atto non reclamabile e la Commissione Tributaria, invece, il contrario, dichiarando il ricorso inammissibile.
Al riguardo sarebbe opportuno un intervento legislativo, in quanto a detta di molti autori, l’inammissibilità del reclamo (se non viene presentato il reclamo) risulta essere una sanzione sproprorzionata.
I dubbi sulla legittimità costituzionale. Altro aspetto di non poco conto è il carattere obbligatorio dell’istituto del reclamo (con conseguente inammissibilità del ricorso) che costituisce una differenza notevole rispetto agli altri istituti deflativi delle liti presenti nel sistema tributario. La dottrina tributaria ha evidenziato che l’obbligatorietà del reclamo condiziona l’immediato avvio dell’azione giudiziaria da parte del contribuente. Si citano alcuni precedenti giurisprudenziali della Corte Costituzionale che legittimano il differimento della proponibilità dell’azione giudiziaria “solo se giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia” (cfr. sentenze n. 360 del 27 luglio 1994 e n. 56 del 24 febbraio 1995). Allo stato attuale, la dottrina è concorde nel ritenere che nel caso del reclamo non ricorrano quelle esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia. Di conseguenza, il differimento dell’azione giudiziaria a causa del reclamo costituirebbe una lesione del diritto di difesa in capo al contribuente costituzionalmente rilevante.
Sull’argomento sarebbe interessante verificare la posizione del Giudice delle leggi.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN