La cedolare secca sugli affitti, ossia l’imposta sostitutiva che il locatore può scegliere di pagare in sostituzione di Irpef e relative addizionali, imposta di registro e di bollo, sui canoni di locazione percepiti, è sempre conveniente oppure in qualche caso non lo è per nulla?
Ci si pone questa domanda perchè effettivamente nell’ultimo periodo la nuova misura ha provocato reazioni totalmente contrastanti tra di loro.
Per il presidente del CNDCEC la cedolare secca sugli affitti “comporta l’ennesima deroga al principio di progressività che caratterizza l’ordinaria tassazione dei redditi e una volta di più questa deroga va a riguardare redditi di derivazione patrimoniale”. Inoltre, continua Claudio Siciliotti,“premesso che queste norme relative alla cedolare sugli affitti agevolano sopra soglie reddituali di un certo tipo, non si capisce perché si debba agevolare chi guadagna 50.000 euro affittando immobili e lasciare in balia della progressività Irpef chi guadagna gli stessi 50.000 euro lavorando. Il rischio concreto è dare l’ennesimo segnale che questo è un Paese dove non conviene lavorare, ma conviene possedere”.
Un giudizio negativo è stato espresso anche dai sindacati, mentre Confedilizia dichiara che la cedolare secca sugli affitti è “una svolta storica e un precedente di tassa piatta che auspichiamo venga presto esteso all’intero settore locativo e, progressivamente, al sistema tributario in sé. Dovunque la flat tax è stata applicata, ha infatti assicurato maggiori risorse al Fisco”.
Per valutare la convenienza della nuova imposta sostitutiva sugli affitti è opportuno evitare di cadere in banali semplificazioni interpretative: ritenere genericamente che, poiché l’aliquota Irpef più bassa è pari al 23% e l’imposta di registro sul canone annuo è del 2%, sia dunque più conveniente l’aliquota al 21% della cedolare secca, è un’analisi tanto sommaria quanto errata. Infatti l’Irpef colpisce il reddito fondiario rappresentato solo dall’85% del canone annuo per le locazioni libere e dal 59,5% dello stesso per le locazioni concordate, mentre l’imposta sostitutiva colpisce l’intero canone annuo percepito dal locatore. Inoltre, per la precisione, ci sarebbe da considerare il fatto che l’imposta di registro del 2% sul canone annuo è per metà a carico del locatore e per l’altra metà a carico del locatario.
Per fare un confronto credibile tra le due opzioni possibili di tassazione è necessario calcolare l’Irpef e le relative addizionali sul reddito complessivo, con esclusione del reddito di fabbricati derivante dalla locazione; successivamente, eseguire nuovamente il calcolo ipotizzando di dichiarare anche tale reddito. La differenza va incrementata dell’1% del canone annuo a titolo di imposta di registro e confrontata con l’imposta sostitutiva legata all’applicazione della cedolare secca (21% del canone annuo previsto in contratto o 19% per i contratti di locazione a canone concordato).
Nell’ipotesi che non siano presenti diritti a detrazione d’imposta e/o crediti d’imposta e trascurando gli effetti secondari dell’imposta di bollo, si può affermare che il contribuente che consegue un reddito complessivo (al lordo di quello derivante dalla locazione) inferiore a 15.000 euro, dunque nella fascia di aliquota Irpef al 23%, non ha convenienza ad esercitare l’opzione della cedolare secca. Infatti, senza la cedolare secca, l’Irpef graverebbe per il 19,55% (0,85 x 0,23) del canone annuo di locazione e per il 13,69% (59,5 x 0,23) nel caso di canoni concordati. Aggiungendo un prelievo per addizionale regionale e comunale ipotizzato all’1,5% e considerando l’1% di imposta di registro a carico del locatore, si arriva ad un prelievo complessivo di 22,05% contro il 21% della cedolare secca, mentre nel caso di canone concordato si arriva al 16,19% contro il 19% della cedolare secca.
Se invece il reddito complessivo risultasse compreso tra 15.000 e 28.000, con aliquota Irpef al 27%, a parità di condizioni il prelievo Irpef in regime ordinario sarebbe pari al 25,45% del canone annuo, contro il 21% della cedolare secca. Nel caso di canone concordato, invece, la scelta potrebbe essere quasi indifferente: 18,57% in regime ordinario contro il 19% con la cedolare secca.
Il risparmio è evidente nella fascia di reddito tra 28.000 e 55.000 euro (aliquota Irpef al 38%). Nel regime ordinario il prelievo fiscale è del 34,8% del canone annuo, con un risparmio del 13,8% se si esercita l’opzione per la cedolare secca in regime di canone libero e del 6,11% per i contratti a canone concordato.
In definitiva, si può affermare che conviene man mano che la soglia reddituale del contribuente cresce e non conviene affatto per coloro che dichiarano redditi complessivi inferiori a 15.000 euro.
Autore: Giovanni Fanni – Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti
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